venerdì 26 luglio 2013

Psara, silenzio e vento


In un vortice di polvere
gli altri vedevan siccità,
a me ricordava
la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa.
(F. De Andrè/E. Lee Masters)


La bellezza è negli occhi di chi guarda, è assiomatico. Ciò non significa che la bellezza è creata dalla fantasia dell'osservatore, ma che per apprezzarla bisogna avere l'animo predisposto a farlo. Passeggio lungo la strada che esce dal piccolo centro abitato di Psara, un'isola minuscola con circa 200 abitanti che si trova di fronte Chios, e costeggiando una spiaggia deserta osservo il vento sollevare la sabbia fina, pettinandola fino a formare le classiche piccole coste che connotano gli arenili non calpestati da piede umano. Ci sono solo io, è mezzogiorno, il sole è a picco ma il vento rende l'aria piacevole e fresca, oltre che secca. Guardo il piccolo vortice che si allarga fino a dissolversi e non vedo siccità nè desolazione, vedo piuttoso l'energia vigorosa di Madre Natura, odo il silenzio, l'assenza di rumori artificiali, meccanici o elettrificati, sento il sibilo del vento foriero di vita, il calore del sole sulla mia pelle, provo gioia.

Il porticciolo di Psara
A Psara non si arriva per caso, è fuori dalle rotte classiche, in questo Egeo settentrionale c'è pochissimo turismo, il poco che c'è è greco ed il più delle volte Piazza Grande è l'unica barca per mare o alla fonda. A Psara vai perchè scegli di andarci, perchè senti che un posto così ce l'hai dentro da sempre. Un pugno di case concentrate attorno al porto, per il resto rocce brulle e spiagge, contornate da un'acqua incredibilmente trasparente. E vento, tanto, costantemente da nord in estate. E' un incanto guardare il mare frangere sulla costa sopravvento, oppure sollevarsi rapidamente anche a pochi metri dalla battigia sottovento. C'è chi passa le ore davanti alla TV, io trovo questo molto meno monotono e più interessante. La bellezza, si diceva, è negli occhi di chi guarda.
 

In navigazion e
Salpiamo per Psara alle 2 e mezzo di notte, il rollio dell'ancoraggio a sud di Lesvos non mi fa dormire, inutile restare qui, tanto vale andare. Salpo l'ancora e dico ad Alessandra di restare a dormire se vuole, mi metto in rotta, sono circa 45 miglia, non pochissime, ci vorranno diverse ore, il vento è a favore e spingerà con forza. Il mare non dovrebbe montare molto, ma se anche fosse sarebbe anch'esso a favore, non c'è quindi da preoccuparsi troppo. Quando sorge il sole ci sono più di 25 nodi, viaggiamo col solo fiocco a circa 6 nodi, il pilota automatico non fa una piega e pensa lui a condurre la barca. Osservo la scia che abbiamo dietro, bianca, spumeggiante, piena di energia. Psara è lì davanti, il suo profilo si fa sempre più marcato col passare delle ore, fino a mostrarsi in tutta la sua bellezza. Appena doppiamo Capo Katsari (si chiama proprio così!) le onde improvvisamente si placano lasciandoci un mare liscio ed un vento intatto nella sua potenza. Ci fermiamo in una piccola baia nelle immediate vicinanze, per fare un bagno ma anche per iniziare ad assaporare questo posto. Manovra di ancoraggio lesta una volta individuato il punto giusto, 30 metri di catena su 4 di fondo, poi un tuffo per controllare di persona, con le raffiche oltre i 30 nodi è bene essere sicuri.
 
La rada degli accampati
Con poche bracciate arrivo sulla spiaggia, sono curioso, da bordo ho notato alcune persone bivaccare all'ombra di alcune capanne improvvisate. Mi tolgo maschera e pinne, saluto e vengo accolto cordialmente. Sono due famiglie di Atene, due coppie e quattro bambini di una decina d'anni, mi raccontano che da qualche anno passano sempre un paio di mesi qui, in questo modo, aggiungendo ogni estate un piccolo confort alle loro dotazioni. Hanno un bel gommone con cui vanno in porto per la spesa e per l'acqua, per il resto stanno qui, di giorno al sole e al vento, di notte sotto l'incredibile manto di stelle che solo l'assenza totale di inquinamento luminoso può offrire. Della coppia con cui chiacchiero all'ombra del loro bivacco, lui è costruttore, lei insegnante di yoga, hanno il viso sereno, così pure i loro figli. Anni fa sarei impazzito per una vacanza in questo modo, forse anche adesso, se non ci fosse Piazza Grande a moltiplicare per mille i posti così.
 
Paesaggio metropolitano
Torno a bordo, dopo quasi due mesi di navigazione è giunto il momento di dedicarsi un poco alla pesca sub. Per quanto andare in giro in barca significhi stare sempre nell'acqua, la barca a vela e la pesca subacquea si conciliano molto male. La ragione è che la prima predilige le baie tranquille, ampie e sabbiose, dove spingersi quanto più in fondo possibile per trovare il ridosso migliore, la seconda vuole i promontori rocciosi, dove la corrente si fa sentire maggiormente, portando allo stesso tempo vita e morte, una smuovendo le acque, l'altra sotto forma di predatori che si avvicinano alla costa alla ricerca di un pesce più piccolo di loro che gli fornisca il pasto di cui hanno bisogno. Anche l'uomo, per certi aspetti, rientra nella categoria. Giro un'oretta, sparo ad un pesce di circa 1 kg che non ho mai visto prima, ma lo prendo "basso", sull'addome cioè, e nel recuperarlo lo perdo. Poi, all'ombra di una piccola tana scorgo l'inconfodibile profilo di una cernia, mi avvicino in silenzio e prima che possa capire che la sua ora è giunta scocco il tiro dall'altro centrandola in pieno appena dietro l'opercolo branchiale. Il suo destino è scritto: una saporitissima zuppa con la testa, i filetti invece, li preparo con pomodori, olive e capperi: semplice, saporito e rapido.
 
Barche per la piccola pesca, soprattutto aragoste
Il vento è aumentato ancora, per quanto l'ancora sia a posto, passare qui la notte vorrebbe dire ballare un pochino, meglio spostarsi in porto. Dentro, però, la piccola banchina è occupata da un paio di barche ormeggiate all'inglese, di fianco cioè, c'è solo un piccolo spazio dove posso entrare con la poppa dando ancora. Faccio così, con qualche difficoltà dato il forte vento, ma alla fine siamo sistemati. Si fa per dire, perchè un paio di locali vengono subito ad avvertirmi che il fondale non è buon tenitore. Mi tuffo per controllare, l'ancora è completamente scomparsa, provo a cercarla seguendo la catena, ma pare fagocitata da sabbia e fango. Ne deduco che ha preso bene e decido di restare come sto. Faccio male, perchè nelle 24 ore successive sono costretto a recuperare, un metro alla volta, circa un terzo del calumo, fino a quando mi tocca spostarmi ed ormeggiarmi a pacchetto su una barca di una dozzina di metri di un greco molto simpatico e cordiale. Quando gli dico che le mie batterie sono alla frutta, inizia a telefonare a destra e a manca fino a che mi da un riferimento a Chios, la prossima tappa, dove troverò tutto a buon prezzo. Perfetto, grazie!
 
Resti di vecchie case
La vita a Psara, inutile dirlo, è tranquilla e silenziosa. Ci sono poche auto, qualcuna di qualche sparuto turista che cerca la sua spiaggia, i 4 fra bar e ristoranti sul porto mettono a sera della musica ma ad un volume che ne limita la fruizione ai propri avventori, qualcuno chiacchiera pacatamente davanti ad una birra, l'agente della Guardia Costiera passa a chiedermi i documenti e mi dice di accomodarmi sul marciapiede, ci sediamo in terra mentre lui compila le scartoffie necessarie, i bambini corrono liberamente, qualche pescatore rammenda le sue reti, alcune anziane donne osservano sull'uscio il poco mondo che hanno davanti. Qui i turisti non ce li vogliono, mi dice un tizio, qui sono tutti ricchi, con la pesca delle aragoste o con comandi in marina mercantile, molto ben remunerati. Al ristoratore dove ceno, chiedo cosa faccia in inverno: Lavoro dando da mangiare ai soldati. Soldati a Psara? A fare cosa? Siamo vicini alla Turchia, mi fa serio, dei turchi non puoi mai fidarti. Mi viene quasi da sorridere al pensiero del potente esercito turco all'assalto di Psara, poi però mi vengono in mente gli americani che pochi anni fa hanno invaso Grenada o la recente querelle fra Spagna e Marocco per il possesso dell'Isola del Prezzemolo, uno scoglio praticamente, e comprendo le ragioni di chi nei secoli ha avuto dalla prossimità più dolori che gioie.
 
Il Meltemi da queste parti non manca mai
Sulla collinetta sopra il porto, un vecchio mulino a vento, forse un'antica macina, lo raggiungo inerpicandomi fra cardo e lentischio, poi proseguo fino sulla vetta, dove trovo l'ennesima cappella e l'ennesimo monumento ad un tizio con il turbante, mistero totale chi sia, la scritta in greco non mi aiuta a capire. Sotto, la spiaggia del Lazzaretto, toponimo presente spesso anche in Italia, evidentemente il luogo dove nell'antichità si concentravano gli appestati per evitare il contagio al resto della popolazione. Riscendendo trovo un piccolo forno che fa dei dolcetti strepitosi, la signora che li vende si compiace nel vedermi tornare per il bis dopo pochi minuti, poi la chiesa, azzurra, relativamnte moderna, poi una chiesa ancora più grande in restauro. E' incredibile, un'isola così piccola con una chiesa, una cattedrale, un monastero e diverse dozzine di cappellette sparse dapperttutto, mi chiedo se a natale ognuno se ne va a pregare davanti al suo personale altare. Io, invece di pregare, guardo il mare davanti a me, guardo le onde che frangono sulla sua superficie, guardo Antipsara di fronte, pochi chilometri quadrati completamente disabitati, guardo i gabbiani planare senza bisogno di sbattere le ali, guardo il punto dove il cielo tocca l'orizzonte, guardo la sabbia sollevata dal vento e vedo la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa.



7 commenti:

  1. quando leggo di Grecia i ricordi personali si addensano e poi si liberano, e piccole emozioni diventano forti, come rimpianti. Viva la Grecia! viva Piazza Grande! viva Luciano!
    Augusto

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  2. Complimenti Capitano, diventa sempre più un piacere leggerti.
    B.V.

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  3. Sei sicuro che non metti le tende in una di queste isolette sperdute e non torni più? Stammi bene e divertiti.
    Tommy P.

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  4. Grande pezzo, sembrava di essere lì con voi.

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  5. Ciao Luciano, è bello leggerti
    Bv
    Pietro

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