mercoledì 28 agosto 2013

Levitha, Kinaros e altri sassi


Sassi. Da calciare via, inutile intralcio, da lanciare in acqua cercandone il rimbalzo sulla superficie o lo spandersi di cerchi concentrici, sassi piccoli, grandi, sassi a punta o stondati, sassi da portare a casa, ricordo di un luogo che si è amato e che si vorrebbe proprio per sempre. I sassi non valgono niente, sono inutili, o forse sono semplicemente troppi per valere qualcosa, i grandi deserti della terra sono fatti di sassi. Ma a volte i sassi possono essere bellissimi, soprattutto quando la natura si è divertita a scolpirli, forgiandoli col vento, col tempo infinito, come infiniti sono i sassi. I sassi nel mare sono ancora più belli, a seconda della forma e della dimensione possono essere ciottoli, scogli, faraglioni, isolotti, isole, o promontori, capi, lingue di roccia che affiorano appena e che solo il frangere dell'onda su di esse rende evidenti ai naviganti.
 
E' su una di queste lingue di roccia che ho deciso di dare ancora, è una secca scogliosa, il pericolo terribile che tutti i velisti temono e per il quale non cessano mai di controllare carte e portolani. Li consulto anch'io, mi dicono che c'è una sommità a circa un metro e mezzo ed intorno un pianoro piuttosto esteso che va dai quattro agli otto metri per poi precipitare nell'abisso. Sono all'estremita di un'isola quasi disabitata, un sasso enorme in mezzo al mare, ci sono dei ridossi ma sono troppo lontani dal punto che serve a me, a me servono sassi, sassi sul fondo. L'acqua è cristallina malgrado il mare sia piuttosto mosso, c'è più di un metro d'onda ma riesco a vedere perfettamente il pinnacolo di roccia da cui girare al largo. 
 
Levitha
Mi porto sottovento ad esso, aspetto di essere sui 4 o 5 metri, una profondità che mi consentirà, in caso di incaglio, di intervenire con una certa tranquillità, poi corro a prua ad aprire la frizione del salpancore per lasciare cadere una trentina di metri di catena. Attendo qualche minuto per controllare che non stia arando, poi inizio il rito della vestizione per entrare anch'io in acqua. Piazza Grande balla parecchio, non è un ancoraggio per velisti questo, è retaggio di anni di pesca subacquea dal gommone, un'esperienza che torna utile in questi casi. C'è Camilla a bordo con me, non ha paura malgrado la situazione sia tutt'altro che confortevole, è cresciuta a pane ed ancoraggi di questo tipo. Resterà sola, se l'ancora dovesse mollare, la barca se ne andrebbe a correre per le molte miglia di mare aperto sottovento, la prima cosa che faccio quindi appena entrato in acqua è controllare la presa dell'ancora. Come mi aspettavo, l'ancora è sul pianoro liscio, dove non potrebbe fare altro che scorrere via, ma la catena ha girato attorno ad un paio di sassi (sassi!) che la terranno ben ferma fino a quando deciderò io di liberarla manualmente. Carico l'arbalete ed inizio a pinneggiare. Lo scenario è spettacolare, l'acqua limpida, il sole che accende le rocce sul fondo, facilmente data la scarsa profondità, il brulicare di vita testimoniato dalla miriade di pesci e pescetti che nuotano ovunque. Faccio alcuni tuffi di riscaldamento sugli otto metri, giro intorno a qualche roccia, mi appoggio sul fondo cercando di mimetizzarmi e scrutando l'acqua in tutte le direzioni.
 
Stasera zuppa di pesce
Gironzolo un po', ma non c'è nulla che mi interessi, metto la testa fuori dall'acqua, cerco Piazza Grande che appare e scompare a seconda che mi trovi sulla cresta o nel cavo dell'onda, poi mi allontano qualche decina di metri, dove la secca termina su un ciglio che precipita nel blu. Il bordo è sui quindici metri, mi preparo bene, chiudo gli occhi per cercare concentrazione e rilassatezza, faccio un respiro profondo comprimendo il diaframma, poi con una capovolta inizio la discesa. Pochi colpi di pinne ed il mio assetto diventa negativo, inizio quindi a cadere verso il fondo guardando avanti a me, man mano che mi avvicino appare una sagoma scura, è una grossa cernia che se ne sta a prendere il fresco, ignara del destino che l'aspetta da qui a pochi istanti. Proseguo la discesa mantenendomi il più immobile possibile poi, quando il pesce è a tiro, premo il grilletto e lo centro sul dorso, colpo non mortale ma quasi, allento la frizione del mulinello per tornare in superficie, poi penso che con un piccolo strattone potrei chiudere la partita ed evitare l'intanamento della preda e le conseguenti altre discese per recuperarla. Lo faccio funziona, ma che fatica risalire da quindici metri trascinando tutto quel peso! Mentre torno in barca, mi accorgo che l'arpione non è penetrato bene, se il pesce desse una scodata potrebbe liberarsi, mi affretto quindi e quando sono a pochi metri chiamo Camilla per farmi aiutare. Lei però non sembra molto propensa a prendere la cernia per gli occhi, l'unica presa veramente sicura, mi tolgo allora le pinne con una sola mano, afferro la scaletta e con uno slancio che quasi mi azzera le forze la tiro in pozzetto. Scattiamo qualche foto di rito, poi prendo il dinamometro, fa quasi 10 chili, niente male!
 
A cosa serviranno questi sassi?
Sistemo la cernia in pozzetto in modo che non sporchi dappertutto, poi torno in acqua per spedare l'ancora. Fatico un po', prima per liberare la catena, poi per liberare l'ancora che nel frattempo è scivolata nell'incavo fra due sassi, ottima la scelta di ancorare in pochissimi metri, fossero stati anche solo 10, sarebbero stati dolori. Via di qui ora, via da questo ballo infernale, poche miglia e siamo in un bella baia ridossata di Levitha, un'isoletta, un sasso quindi, piuttosto sperduta ed abitata solo da una famiglia di pastori. Diamo ancora, poi Camilla si tuffa per portare due cime a terra che ci consentiranno di tenere la barca ferma e passare la notte in tranquillità. O quasi, perchè dieci minuti dopo arriva una barca a vela con a bordo due coppie, quattro ragazzini urlanti ed un anziano, che si piazza proprio vicino a noi. E' il tramonto, prima che faccia buio voglio sfilettare la cernia per metterla in frigo. Anche i vicini, che mi diranno poi di essere greci, stanno pulendo dei pescetti. Scambiamo due parole, mi dicono che l'hanno pescati loro, gli dico che anch'io ho preso qualcosa. Davvero?, mi fanno, Fà vedere. Sollevo la cernia e loro non trattengono un urlo di stupore. Mi suggeriscono qualche ricetta, e di usare la testa per la zuppa. Lo so, ma la testa è troppo grande per conservarla, e poi siamo in due, già così abbiamo diversi chili di polpa da consumare in pochi giorni. Regalala a noi, allora! Detto fatto, gli porgo l'enorme lisca che farà almeno quattro chili, viene a prenderla a nuoto una delle signore, i bambini l'attendono curiosi, mi promettono un assaggio di zuppa, sarei molto curioso, ma quando mi chiamano siamo già alle prese con la nostra di zuppa, quindi gentilmente declino l'offerta. Dopo cena metto le stoviglie a mollo in mare, poi crolliamo sia Camilla che io in cuccetta, esausti per questa giornata pienissima.
 
Una piccola lapide per un soldato morto nel '43
La mattina dopo scendiamo a terra col tender, c'è un piccolo molo dove un paio di pescherecci sono ormeggiati ed i marinai intenti a pulire le reti, setacciando il pescato dai sassi che lo strascico ha tirato via dal fondo. Il pesce è vita, i sassi no, ma il pesce senza i sassi non vive, quindi anche i sassi, apparentemente inerti, sono vita. La pesca subacquea è spesso malvista, eppure è la pesca più selettiva che esista, nessuna preda cade vittima accidentale di sistemi di prelievo ad altri destinati. Non nego che a volte, soprattutto i principianti, sparano a pescetti da frittura o a specie poco o per niente edibili, ma il pescatore esperto è coscenzioso, prende dal mare solo ciò che consuma, non distrugge l'habitat, non fa stragi indiscriminate. E poi uccide subito la sua preda, non la lascia agonizzante per ore, appesa ad un palamito o a soffocare fra le maglie di una rete.  A terra, la prima cosa che noto è una piccola targa in ottone posta su un sasso, ricorda un soldato neozelandese morto qui nel '43, la famiglia, evidentemente venuta apposta per apporla, promette imperituro ricordo. Mi fa venire in mente De Andrè, Ninetta mia morire di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio. No, non si può partire dalla Nuova Zelanda per venire a morire a Levitha, perchè è un sasso, non vale la pena morire per un sasso, e poi perchè è bella, molto bella, e di bellezza si deve vivere, non morire.
Camminiamo alcuni minuti per raggiungere la fattoria, unica abitazione dell'isola, intorno a noi solo sassi, tanti, dappertutto, usati a migliaia per costruire lunghissimi e spessi muretti a secco, probabilmente recinti per capre e pecore. Mi sporgo oltre uno di questi muretti, oltre non vedo che altri sassi, sassi quindi che recintano sassi. Passiamo attraverso una piccola pianura, in mezzo qualcuno ha costruito un cerchio di sassi, pavimentandone l'interno con altri sassi. Mi chiedo a cosa serva o servisse, non trovo risposta, sembra uno Stonehenge greco, ai miei occhi inspiegabile e misterioso come l'omologo inglese. Proseguiamo, adiacente alla fattoria c'è un muretto di sassi con un piccolo cancello in legno, guardo oltre, alcuni uomini stanno sgozzando dei capretti. Posso?, chiedo all'anziano che osserva i giovani all'opera. Non è un bello spettacolo, mi risponde. Forse per me non è poi così brutto, replico. Già, a parte che ieri ho fatto lo stesso lavoro con la cernia, quello cui assistiamo è uno degli ultimi atti di una civiltà contadina prossima alla scomparsa, un evento normalissimo ovunque in Europa fino ad un paio di generazioni fa, prima che l'allevamento animale si trasformasse in industria e la carne fosse venduta al supermercato già incelophanata, quasi non avesse mai avuto le sembianze di un essere vivente.
 
Stasera abbacchio al forno
Scatto qualche foto, poi rimango ad osservare, ci sono un paio di bambine di una decina d'anni, tre generazioni assistono e compartecipano l'evento, un evento di morte, che però genera il loro sostentamento, quindi la vita. Salutiamo e passiamo oltre, la fattoria ha anche una piccola taverna, alcuni francesi, sbarcati anche loro da una barca a vela, si stanno informando su menù e prezzi. L'anziana donna che stanno interrogando, però, non capisce l'inglese, non capisce neanche il gesto poco elegante di pollice e indice sfregati fra loro, i francesi se vorrano cenare qui dovranno farlo con l'incognita di quanto gli verrà a costare. Ridiscendendo mi soffermo spesso a guardare il panorama, è bellissimo, fatto di sassi, di pochi arbusti non seccati dalla calura estiva, di terra selvaggia ed incolta e poi, poco più in basso, di mare blu spazzato dal vento.
 
I resti dell'antica agorà di Kos
Camilla è con me da qualche giorno, è salita a Kos, un'isola grande e molto affollata, comoda per imbarchi e sbarchi perchè ben collegata con Atene, comoda anche per la spesa o altri acquisti necessari per la vita di bordo, ma per il resto un posto da cui scappare, almeno per quanto mi riguarda. Il centro è carino, sul porto ci sono i bastioni di un'antica fortezza, poco oltre l'antica agorà, il centro della vita della Grecia antica, qui è nato Ippocrate, il padre della medicina, o almeno l'inventore della diagnosi come metodo terapeutico, ma più di una passeggiata di un paio d'ore la città non merita, molliamo le cime e ce ne andiamo a Pserimos, diamo ancora in una bella rada, poche barche, qualche allevamento ittico, molta tranquillità. L'indomani ci spostiamo a Kalimnos, dove ho appuntamento con Monica e Stefano, in giro anche loro per l'Egeo con il loro bel X512, una barca grande e piuttosto impegnativa da condurre in equipaggio ridoptto, ma direi che loro se la cavano molto bene, forse più di quello che dicono. Strada facendo, la traina ci regala un piccolo tonno, servirà per la cena, ci preparo gli spaghetti, gradiamo tutti, meno il tonno ovviamente. Passiamo la notte in una rada carina ma dove l'acqua è piuttosto torbida, come sempre dove sono presenti allevamenti di pesce. Ho già detto cosa ne penso, mangiate alici e dimenticate orate e spigole da supermercato, fatelo sia per voi che per l'ambiente. La mattina mi sveglio, faccio un tuffo e con poche bracciate raggiungo la riva. Poco dopo arriva Stefano, col tender però, sennò gli si bagnano le sigarette! Restiamo un po' a chiacchierare sulla battigia, a confrontare idee, rotte, progetti, storie di vita, sogni e quant'altro. Poi di nuovo a bordo ed entrambi facciamo rotta per il porto. Il primo impatto con la cittadina di Kalimnos non è dei migliori, l'insenatura che la ospita ha due o tre piccoli insediamenti industriali, non è certo un bel vedere.
 
Le famose spugne di Kalimnos
Il porto è molto ben attrezzato, in banchina sia acqua che elettricità, ma le strade sono sporche, c'è confusione, tanta incuria, tanto disordine. In compenso c'è un bel museo archeologico, piccolo ma molto ben fatto, nuovissimo, aperto da pochi anni, paghiamo tre euro di ingresso e gustiamo veramente la visita, apprendendo che il figlio di Apollo si chiamava Asclepio e non Apelle e forse non faceva nemmeno palle di pelle di pollo. Uscendo ci fermiamo a comprare delle spugne, questa è l'isola dei pescatori di spugne, famosi in tutto il modo, il negoziante ci spiega la differenza di morbidezza e di capacità di assorbimento. Il prezzo dipende dalla profondità di prelievo oltre che dalla rarità della specie. Ciao Monica, ciao Stefano, è stato molto piacevole incontrarvi, ora ci spostiamo a Levitha, chissà che le nostre rotte non si incrocino di nuovo.
  Di Levitha, di cui ho raccontato sopra, mi resta il dubbio se appartenga alle Cicladi, come suggerisce il portolano, o al Dodecaneso, come lasciava intendere un cartello che segnalava opere realizzate con soldi pubblici. Dopo Levitha andremo ad Amorgòs, ma prima c'è una sosta da fare, c'è un sasso strada facendo che merita proprio un visita, so già che mi piacerà, mi piacciono i sassi piccoli, o grandi, dipende sempre dal metro di paragone. Il sasso si chiama Kinaros, noi lo ribatezziamo il Cinarone, l'amaro a base di carciofo, il vocabolarietto di greco ci rivela un etimo comune. Arriviamo dopo poche miglia di navigazione un po' allegrotta, ci infiliamo in una delle due anse ridossate dal Meltemi, ma è occupata da una barca di francesi, è stretta e poi non ci piace. Giro la prua e ci infiliamo nell'altra, è piccola, un intaglio in un sasso, è molto profonda, mi addentro non senza qualche timore di sbattere su qualche scoglio sommerso, è veramente bellissima e poi c'entra una sola barca, nessuno ci disturberà. Metto la barca nel letto del vento mentre Camilla si tuffa in acqua per portare a terra le cime che terranno Piazza Grande ormeggiata in totale sicurezza. Dato che l'ancora non mi sembra aver bene agguantato il fondo, mettiamo delle cime anche a prua, con quattro dormiremo veramente sonni tranquilli.
 

A volte i sogni diventano realtà
Scendiamo a terra con il tender, ci inerpichiamo fra i sassi, nel silenzio assoluto rotto solo dal sibilo incessante del vento. Ogni tanto si ode un belato, quasi un lamento, un pianto, forse un capretto che si è allontanato troppo dal gregge. La terra è rossa, costellata di sassi bianchi, un fantastico contrasto che si aggiunge al verde della macchia mediterranea e al blu, il blu meraviglioso di questo Egeo vivido. Scattiamo delle foto, al mare, ai sassi, poi restiamo in silenzio a godere questo incredibile spettacolo, tutto per noi, solo per noi. E' un posto magico, un sasso fatato, so che lo porterò per sempre nel cuore, è uno di quei luoghi che sognavo quando da piccolo mi immaginavo a veleggiare per il Mediterraneo. Spero si mantenga sempre così, spero di tornarci, spero nessuno lo ferisca, lo deturpi, lo rovini, con la temibile superficialità degli stolti che non sanno capire la bellezza infinita dei sassi.

8 commenti:

  1. Da come racconti e scrivi (in modo pregevole) si potrebbe fare a meno di sapere se sei su di un isola di quelle affollate e turistiche oppure in uno di quei paradisi di solitudine e bellezza che tanto piacciono a te (ed a me)...comunque lo si capisce dalle sfumature e dall'enfasi della tua narrazione :)
    Ancora complimenti Capitano!
    B.V.

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  2. Il passaggio in cui citi De Andre mi ha commossa ...

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  3. levitha e' dodecanneso al dire di tutti i naviganti che hanno dimora in turchia ma io mi astengo essendo una novizia dell'egeo(considero 1 anno troppo poco per dichiararmi di casa) comunque luciano mi hai regalato tante belle letture soprattutto nell'attesa e nella prospettiva di ritornare a navigare in quei luoghi........ tra 2 giorni ormai.levitha e' nella rotta di acquacheta non emendabile un abbraccio e buon vento il mondo e' piccolo e noi saremo in egeo fino alla fine di ottobre
    alessandra e d.

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  4. Chiudo gli occhi e faccio finta di stare ancora a bordo. Giusto stasera luciano stava facendo vedere le foto a un amico. Che nostalgia! Bv. Roberta

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  5. grande Luciano, contentissimo di constatare che hai realizzato il tuo sogno di cui mi parlavi durante il militare (CC).
    Un abbraccio.
    Marco R.

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    1. Oddio... come mi hai riconosciuto? E a dire il vero non ho capito bene chi sei... dopo 35 anni ci sta!
      Grazie, ricambio l'abbraccio.

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