domenica 6 ottobre 2013

Marsala, quasi per caso


Marsala, Italia, Marsa Alam, Egitto. Troppo simili i due toponimi per non tradire un'origine comune e troppo curioso io per non cercare di scoprirla. Mi basta aprire Wikipedia per avere la risposta: Marsa Allah vuol dire Il Porto di Allah, è così che la città siciliana è stata battezzata dai conquistatori arabi che nell'800 dopo Cristo da qui hanno iniziato la loro espansione nel sud del nostro paese, anche se forse parlare di battesimo è un po' fuori luogo visto che si trattava di conquistatori musulmani, ma ci siamo capiti. Il Porto di Dio quindi. Offrirà un ridosso della Madonna, penso! Purtroppo non è così, basta aprire la carta nautica per rendersi conto che è piuttosto esposto ai venti dei quadranti meridionali, almeno nella sua parte centrale, quella che conseguentemente costa meno, quella che ho scelto io per ragioni squisitamente economiche. Piazza Grande starà al pontile per qualche settimana, poi conto di metterla in secco ai primi di novembre, sia per stare tranquillo, sia per fare quei lavori che la cura regolare di un'imbarcazione impone. Marsala è anche il porto dove è sbarcato Garibaldi per iniziare la sua impresa con le mille camicie rosse, un luogo ricco di storia, insomma, cosa che me lo rende già simpatico prima ancora di arrivarci. Marsala è l'ultimo posto dove pensavo di finire quando sono partito, quattro mesi or sono; come ha detto qualcuno la vita è tutto quello che ci accade mentre siamo impegnati a progettare altro.

Sarà stato il problema all'invertitore o la voglia inconscia di non tornare, di prolungare questo lungo viaggio, seppur spezzandolo con un rientro a casa prima che mi diano veramente per disperso in qualche mare lontano, fatto sta che dopo la sosta cultural-gastronomica a Palermo, la mia prua punta a ovest anziché a est.

 
Il sole cala dietro Capo S. Vito
Mi sveglio un po' stordito, quattro giorni a gozzovigliare lasciano il segno, ieri sera il colpo finale dato dagli spaghetti con le sarde in un ristorante popolare di Mondello in compagnia di un caro amico, o forse dal vino che ci abbiamo bevuto su, chissà, me lo chiedo mentre carico la moka abbondando col caffè nella speranza di ritrovare la perduta lucidità e liberarmi dal cerchio alla testa che mi opprime. Sono di nuovo solo a bordo, dovrò manovrare con molta attenzione per uscire da quel budello che è La Cala di Palermo con l'invertitore che tarda ad ingranare la marcia. Comunque vada, vado; navigare necesse, è anche il motto della Lega Navale che mi ha ospitato tanto gentilmente in questa bella città, mollo cime e corpo morto e rapidamente e senza danni guadagno l'uscita. C'è vento, non molto, ma c'è, c'è anche mare, anche questo non molto ma c'è. C'è tutto, insomma, ma non ci sono io, questa sosta m'ha rammollito, Moitessier si rammolliva dopo mesi e mesi a Papetee, a me sono bastati pochi giorni e qualche cannolo con la ricotta. Piazza Grande, sbatte, arranca sull'onda ed io con lei, ho troppa tela a riva o forse è semplicemente mal regolata, fatico a trovare il giusto assetto, solo dopo un po', non senza fatica, riesco a farle prendere il giusto passo, a farla andare come si deve. Non altrettanto si può dire di me, non ho molta voglia di bordeggiare contro questo mare, speravo in una navigazione tranquilla, ma faccio buon viso a cattivo gioco, stringo i denti e regolo di fino la randa, anzi, quel che ne rimane, viste le condizioni in cui versa. Anche qui il paragone con Moitessier è inglorioso, a lui sono voluti dieci mesi alle alte latitudini meridionali per consumare le vele, a me molto meno, anche se le mie già alla partenza mostravano parecchi acciacchi. Sono lento, ho una VMG, la velocità di avanzamento verso l'obiettivo considerata la rotta a zigzag, di meno di 3 nodi, 5 Km l'ora, quanto una camminata di buon passo, quanto, forse Colombo con l'armo a vele quadre. La giornata passa tutta così, conto di fermarmi a San Vito lo Capo per la notte, ma speravo di arrivare prima del buio, invece solo alle 10 di sera sono davanti al porto. Di entrare dentro non se ne parla, di notte, da solo e col motore che fa i capricci sarebbe un suicidio, decido di dare fondo in pochi metri cercando di ripararmi dietro al molo di sottoflutto nella speranza di non ballare tutta la notte. Non c'è luna, in compenso ci sono le luci del lungomare che mi sparano negli occhi, peggio di così si muore, avanzo lento, poi calo l'ancora e mi godo il meritato riposo.
 
Il faro di S. Vito lo Capo
La mattina mi alzo ben riposato, c'è il sole e ci sono meno vento e mare rispetto a ieri, percorrere le ultime 30 miglia di questo lungo viaggio sarà meno faticoso di ieri. Il mare è in scaduta, ne percepisco il respiro lento e regolare che segnala il cessato allarme, imposto la rotta sul pilota automatico e mi godo la tranquilla navigazione, la costa è molto bella, la Sicilia è proprio come l'ha cantata Pino Daniele in una bellissima canzone musicata da Chick Corea, è lava e sale. Mi godo anche il fatto che malgrado sia ormai ottobre me ne sto piacevolmente in costume da bagno. Dulcis in fundo, noto di aver riacquistato il piede marino, rapidamente lo si perde, rapidamente lo si riprende, è un po' come andare in bicicletta, una volta imparato bastano poche pedalate per ritrovare l'equilibrio e l'andatura giusti. I miei movimenti a bordo sono automatici, si sono adattati alle necessità, agli spazi angusti e alle onde, è automatico cercare un appiglio quando sporgo la testa fuori dal tambuccio per controllare che la rotta sia libera, è automatica la specie di giravolta che faccio per uscire dalla cuccetta, automatici sono anche tutti i gesti che compio in coperta, a volte mi sembro un equilibrista da circo, se ne esistessero di marini forse potrei esibirmi con successo.
 
Il mare è pieno di alghe galleggianti, impossibile tenere la traina
Avvisto Trapani, poi le Egadi, Favignana mi è entrata nel cuore trent'anni fa, ci arrivai un po' per caso campeggiando con amici pescasub, ci tornai l'anno dopo con la fidanzata di allora, poi quando fu istituita l'Area Marina Protetta e conseguentemente vietata la pesca ai comuni mortali smisi di andarci. Notizie recenti parlano di un campo boe istituito a Cala Rossa, una baia spettacolare dove erano le antiche cave di tufo, col pretesto di salvaguardare la posidonia. Nobile intento per carità, resta da capire perché sia vietato ancorarsi di notte ma non di giorno, come se le alghe spuntassero solo col favore delle tenebre. Lo so, è difficile da capire o anche solo da credere ma è così, uno dei tanti paradossi dei mari italiani. Proseguo ancora, avvisto lo Stagnone, l'area di bassifondi tra Trapani e Marsala dove ancora oggi si produce sale marino, continuando imperterrito a trascinare una traina che da giorni non da soddisfazioni ma solo noia, riempiendosi spesso di alghe morte che galleggiano in superficie. Alla fine rinuncio, ho tentato il colpaccio con un Rapala piuttosto grande, forse col polpetto piumato qualcosina sarebbe venuta fuori, chissà. Apro una birra ed un pacchetto di patatine mentre il profilo di Marsala comincia a delinearsi sempre più chiaro all'orizzonte, infine, verso le 4 del pomeriggio, mi infilo fra i fanali verde e rosso e mi dirigo verso i pontili, non prima di aver annunciato telefonicamente il mio arrivo sia agli ormeggiatori, sia a Davide, il gentilissimo amico che mi ha spiegato tutto quello che c'era da sapere sulla città ed il suo porto. Nel timore che l'invertitore faccia qualche scherzo, parto a retromarcia con larghissimo anticipo, entro nel posto che mi assegnano con precisione millimetrica, passo le cime, recupero la trappa e penso che è l'ultima manovra della stagione. Pensiero errato, mi hanno dato il posto nel pontile peggiore, quello esposto, quello dove in caso di mareggiata c'è serio rischio di fare danni alla barca. Vado a parlare col responsabile, lo convinco a farmi spostare sull'altro pontile, tergiversa un po', alla fine, nel giro di un paio di giorni, arriva the ultimate mooring, Piazza Grande vi si acciambella come un animale stanco che reclama riposo ed io con lei.
 
Piazza Grande nella sua nuova casa
Ci sono alcune piccole incombenze da sbrigare, lavare bene la coperta, disarmare un po' di cose e sistemarle nei gavoni, fare la cernita di quello che è possibile riportare a casa nell'angusto spazio di una valigia di massimo quindici chili di peso come dettato dalle severe regole di Ryanair. Davide, la cui ospitalità è qualcosa di favoloso che spero di poter un giorno ricambiare, mi accompagna a comprare due spezzoni di catena e a rimediare un paio di copertoni d'auto usati per vincolare Piazza Grande al pontile in modo sicuro. Lo so, ci sono quei bellissimi molloni che vendono gli spacciatori di cose nautiche, però hanno due difetti: sono costosi e si rompono, i copertoni, invece sono gratis ed eterni (o quasi). Perdiamo un po' di tempo a fare il lavoro, raddoppio le cime, non si sa mai, raddoppio pure il corpo morto a prua recuperandone uno abbandonato sul fondo del porto e riemergendo con in bocca un fantastico sapore di melma ed idrocarburi, ma alla fine Piazza Grande è vincolata con cinque, dicasi cinque, cime, posso dormire sonni tranquilli. 
   
Ammortizzatore di ormeggio per poco abbienti
Consumo l'ultimo pasto a bordo, ne cerco il sapore nella mia anima, ha l'amaro della partenza, dei saluti, ma anche il dolce del ritorno a casa, degli affetti ritrovati. Qui resta una parte di me, fisica e metaforica, qui so che potrò tornare tutte le volte che vorrò, sarà un po' come avere una tana, un rifugio o anche banalmente una casa al mare. Da qui potrò fare base per girovagare a terra ed in mare, entrambi sono ricchi di cose da vedere, da visitare, da assaporare. Marsala è un gioco di quei tanti che fa la vita (F. Guccini, Amerigo), la tappa incidentale di un percorso che doveva dipanarsi altrove, la sorpresa inaspettata e ricca di questo lungo viaggio partito alla ricerca di un paio di jeans turchi e finito sulle spiagge sontuose della gastronomia siciliana. Ma è anche un viaggio che non finisce, perché non è finita in me la voglia di andare, di prendere il mare per cercare un'altra isola, un'altro approdo, un altro sorriso sconosciuto che mi dia il benvenuto nella sua terra. Le barche sono fatte per navigare, a volte anche le persone.
  Alle cinque passa a prendermi Davide, l'ennesima sua cortesia che quasi mi imbarazza, strada facendo vedo le saline ed i mulini a vento ancora in uso, poi la sagoma della torre di controllo, la coda di un aereo, sento il rombo di un decollo. Saluto il mio amico, entro dentro, svolgo le procedure di imbarco, poi, rannicchiato nel piccolo sedile che mi hanno assegnato, chiudo gli occhi mentre sento l'aereo sollevarsi da terra. Torno a casa.

5 commenti:

  1. Buon rientro Capitano!
    Promettimi che, anche saltuariamente, ci terrai aggiornati durante il lungo inverno.
    Grazie per la compagnia ed i tuoi piacevoli racconti.

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  2. Ciao Luciano, grazie per averci lasciato sognare con te!

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  3. Ciao Luciano, come sempre rimango senza parole, peccato nn leggerti piu' bv
    Pietro

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