venerdì 13 giugno 2014

La Sicilia, il mondo com'era


Lo respiri nei vicoli, nelle piazze, negli angoli di strada dove le persone camminano, sorridendosi quando si incontrano, scambiandosi una battuta in siciliano per poi riprendere con incedere flemmatico la propria direzione. Lo respiri negli odori forti e naturali, il pesce del mercato antico, lo zolfo delle alghe del porto, un soffritto d'aglio o una frittata che la brezza spande fuori dalla finestra da dove originano, aromi che la metropoli annienta a colpi di esalazioni di idrocarburi ma che qui vivono e prosperano per la gioia dell'olfatto. Lo respiri nelle botteghe artigiane del fabbro, dell'arrotino, del falegname, piccoli artisti di quartiere che la globalizzazione non ha spazzato via con l'invasione di prodotti cinesi non riparabili e dalla vita breve, un miracolo reso possibile da un mercato immobiliare incredibilmente basso. Dietro le loro saracinesche si trova sempre cortesia e disponibilità, a volte una battuta con il garbo consueto dei siciliani.

Lo respiri nei rapporti sociali, nella familiarità che rapidamente si instaura un po' con tutti, nel reciproco aiutarsi che non è, come potrebbe superficialmente sembrare, il solito favoritismo italico, bensì una genuina benevolenza nei confronti del prossimo. Quando si ha bisogno di qualcosa si trova facilmente qualcuno disposto a dare una mano, non solo in porto dove la solidarietà fra la gente di mare è un fatto abituale; ovviamente bisogna essere pronti a ricambiare con la medesima disponibilità.
 

Magici riflessi al Preveto
La vita qui scorre più lenta e serena, c'è meno affanno, meno ricchezza ma anche meno pressione, un appartamento in affitto costa quando una stanza in una grande città del centro-nord e la differenza non è solo monetaria ma si traduce in minore quantità di lavoro necessario a pagarlo e quindi maggior tempo a disposizione per sè. E anche il lavoro scorre più lento, non per indolenza, che pure nella stagione più calda avrebbe una sua ragion d'essere, bensì perchè le persone non sono strette nella morsa mortale di mutuo e soddisfazione di bisogni spesso indotti. Forse non per merito loro, ma solo in ragione di un'economia che da queste parti non è mai stata florida e che, per assurdo, rende la crisi di questi anni meno aggressiva; non sono fallite aziende perchè non c'erano aziende, tutto scorre più o meno come prima.
Ed ecco che allora lo respiri, dicevo, respiri il sapore di una vita antica che per me, con mezzo secolo di esistenza metropolitana sulle spalle, ha il gusto ritrovato della mia infanzia, quando tutto era meno spasmodico, quando produrre e consumare non erano le uniche attività possibili, quando vedevo gli adulti perdere tempo magari perchè era l'unica cosa che avevano in abbondanza e che di lì a breve avrebbero scambiato con un'auto presa a rate o, peggio, con una villetta squallida in riva al mare dove non sarebbero andati perchè troppo occupati a pagarla.

 
Le antiche barche della tonnara
Siamo in cinque in barca, oltre a me, Roberta e Luciano, con cui ho navigato l'estate scorsa in Egeo, Maria Luisa, amica bolognese e Tiziana, palermitana alla sua prima esperienza di vela. Un equipaggio variegato e per me la novità di avere la barca così piena, di solito navigo con meno persone, ho voglia di provare, non è il massimo della comodità ma nella scelta fra libertà ed amore, come distingueva Luciano De Crescenzo in Così parlò Bellavista, questa volta ho scelto l'amore. Il meteo sembra non assisterci, cielo coperto e vento contrario ma salpiamo comunque alla volta di Favignana. E' il ponte del 2 giugno, ci siamo tutti, Ivan con Masciò, Luciano con Andante, Thomas con Girodoro, Benedetto con Pilierone, Michele con Okipik, in porto ed in mare è un continuo via vai, saluti e brindisi, cene in barca e fuori, tanta allegria, siamo italiani, il convivio è il nostro pane. In porto c'è il pienone, o meglio, il posto ci sarebbe, ma è tenuto gelosamente in serbo per barche di taglia maggiore di Piazza Grande, prova ne è che Michele, che contatta l'ormeggiatore dopo di noi, riceve una risposta positiva in virtù della sua maggiore lunghezza fuori tutto. Siamo italiani anche in questo, piccole furberie, consuete in tutti i porti dello stivale, isole comprese, poi ci si stupisce che il turismo sia in calo, che gli stranieri navighino altrove. Dal male nasce il bene, diamo àncora al Preveto, su un fondale di posidonia sul quale riusciamo a scovare una chiazza di sabbia che mi farà dormire tranquillo (sulle alghe le ancore non tengono bene). L'atmosfera è da sballo, siamo l'unica barca in un cornice incantanta, chiusi fra l'isola ed uno scoglio, l'acqua immobile, le luci di Trapani in lontananza e come colonna sonora lo stormire incessante di una folta colonia di gabbiani che ha eletto il Preveto a sua dimora.
 
Spostati che sparo!

La mattina si libera un posto in porto e ne approfittiamo per andare a terra, passeggiare per Favignana e discutere sul perchè la chiesa principale sia decentrata rispetto all'asse longitudinale della piazza, contrariamente alle più elementari regole di urbanistica. Non mi credono quando dico che se l'avessero messa nel mezzo si sarebbe trovata lungo il percorso delle palle di cannone sparate verso il mare. Equipaggio di infedeli, osa mettere in dubbio la parola del comandante! Solo quando Google conferma la mia spiegazione, si arrendono all'evidenza; siamo al paradosso, ciò che Internet non dice, non è, non esiste, versione terzo millennio del vecchio l'ha detto la televisione. Visitiamo anche la tonnara, accompagnati da un'ottima guida, una visita che mescola archeologia industriale ed etnografia, di che andare a nozze per i mie gusti. La macchina di cattura ed inscatolamento del tonno era perfetta ed armonica e coinvolgeva l'intera popolazione dell'isola nelle sue diverse fasi, nulla degli enormi pesci veniva buttato via, i tagli più pregiati erano venduti per il consumo alimentare, le interiora e le ossa destinate alla produzione di farine animali. Il rais, che supervisionava e dirigeva la tonnara, era un'autorità non solo in ambito lavorativo, aveva prestigio sociale e la carica si tramandava spesso di padre in figlio, quasi fosse un monarca. Sopra di lui, il divino, nella forma iconica di una croce tempestata di santini fissata alle reti della tonnara per ingraziarsi i favori del cielo. Nei tempi d'oro dalla mattanza si ricavavano circa 10.000 tonni, all'inizio degli anni 2000, al momento della chiusura definitiva, poco più di 1000. Colpa delle tonnare volanti, delle reti a circuizione, dei sonar: enormi navi circondano il branco e lo prelevano interamente, lo estinguono, tutto e subito, ricchezza immediata per pochi e fame per le generazioni future, anzi presenti, siamo già nel futuro da un punto di vista ittiologico; i 10.000 esemplari della tonnara erano viceversa un prelievo sostenibile che sostentava un'isola rinnovandosi di anno in anno. Dopo, solo silenzio nel blu dell'abisso.
 
Mezzo ecologico per le consegne
La sera in porto si alza un bel maestrale, sui 25 nodi, siamo ormeggiati quasi in testa al pontile, abbiamo un piccolo spazio sottovento dove una barca di 43 piedi prova ad infilarsi. Il vento laterale gli abbatte la prua, si traversa, sbatte la poppa procurandosi un graffio, lo skipper demorde e fa per andarsene. La manovra è praticamente impossibile, li chiamo offrendogli un traversino per tenergli la prua finchè non riescano ad afferrare la trappa. Ecco, bravo! è la risposta. Accidenti che arrogante pretesa! Non fare del bene se non sai sopportare l'ingratitudine, ha detto qualcuno, ed io non faccio una piega, li aiuto, arriva un grazie a mezza bocca, recupero la mia cima e tanti saluti. A notte ho l'abitudine di fare un giro di controllo prima di andare a dormire, vado in coperta e scopro un traversino fra loro e noi, posto senza chiederne il permesso e per giunta recuperando la nostra trappa dal pontile. Ecco perchè sentivo degli strappi sul corpo morto! Mi sembra francamente troppo, mi consulto con Maria Luisa, l'unica ancora sveglia e in un attimo liberiamo Piazza Grande dal giogo insostenibile, non può certo reggere una barca più grande di lei. I vicini scortesi scadono un paio di metri sottovento e noi ritroviamo la tranquillità. Buonanotte a tutti, qualche pagina del Gattopardo, odiato ai tempi della scuola, mi concilia piacevolmente il sonno.
 

Gibellina nuova, pare sia arte.
L'indomani con una bella veleggiata rientriamo a Marsala, qualche goccia di pioggia ci accompagna durante la manovra di ormeggio, le cime lasciate sul pontile hanno il sapore di casa, Tiziana rientra a Palermo, con il resto dell'equipaggio ci uniamo agli altri per un ulteriore convivio, con i piedi sotto la tavola siamo ancora italiani. Seguono giorni di lavori a bordo e riposo mentale, aiuto Serena che sta ultimando il suo b&b, ricambiando la cortesia che mi ha più volte offerto, ha un bell'armadio antico da sistemare, il restauro dei mobili è uno dei miei hobby, gli faccio un trattamento antitarlo prima che i simpatici insetti lo tramutino in segatura. Per il resto faccio vita di porto, mi traformo in un nauta piger di oraziana memoria e devo dire che la cosa ha i suoi aspetti positivi. In porto si chiacchiera, si scambiano consigli di navigazione, ci si aiuta per qualche lavoretto a bordo, si divide un caffè o una birra, qualcuno parte, qualcuno arriva e porta racconti di mare nuovi o ne rimpalla di ascoltati altrove, in un passaparola che travalica il mare, arricchendosi di nuovi particolari di volta in volta, trasformando una brezza in burrasca, una burrasca in tempesta, una tempesta in uragano e via dicendo. Una sera a cena con Paolo conosco una coppia di suoi amici, rientrati da poco dal Portogallo attraverso Gibilterra e le Baleari, più o meno la rotta che farò io in senso inverso, li ascolto con attenzione, mi danno indicazioni utili, sia di navigazione che turistiche, pare che valga proprio la pena di andare laggiù.
 
Trionfo del rococò a Mazara del Vallo
L'estate irrompe improvvisa con temperature sui 30 gradi, in una giornata di solleone organizziamo una gita nell'entroterra, verso Salemi, salito agli onori delle cronache perchè Sgarbi vi era stato eletto assessore alla cultura. E' un paese piuttosto squallido, pochi gli angoli pittoreschi, affogati nel disordine urbanistico e nell'incuria. Facciamo un salto a Mazara, praticamente un pezzo di Tunisia in terra sicula, una casbah bianca dal sapore mediorientale. Poco più su la valle del Belice, tristemente famosa per il terremoto del 1968, ci allunghiamo a Gibellina nuova, un ecomostro praticamente, un paese fantasma edificato nel nulla con uno stile che ricorda il cimitero romano di Prima Porta, in effetti il periodo di costruzione è lo stesso. Qualche chilometro più avanti, con non poca fatica, troviamo i resti di Poggioreale, l'altro paese distrutto dal terremoto. Un'associazione di volontari si occupa di pulirne le strade e limitare, per quanto possibile, ulteriori crolli, piuttosto frequenti dopo più di 40 anni di abbandono. E' un paese fantasma, case umili e palazzetti decorati appaiono sventrati nelle volte e nelle murature, una costruzione semicircolare rivela un vecchio teatro, alcune finestre squadrate una scuola elementare di epoca fascista. L'atmosfera è spettrale, solo silenzio e dolore, quello di chi ha perso la casa, ha perso tutto. Qua e là alcune suppellettili resistono al tempo, un vecchio giornale dell'epoca, una carrozzina, una valigia di cartone, una scarpa che non è servita a scappare dalla morte. Eppure c'è qualcosa che mi piace, giro lo sguardo in tutte le direzioni, manca lo scempio edilizio, il terremoto ha cristallizzato Poggioreale, il nucleo abitato, piccolo e aggraziato come solo certi borghi italiani sanno essere, non è stritolato fra le squallide e scriteriate costruzioni che hanno devastato l'italia dagli anni '60 in poi. Qui attorno, solo campagna, dalle finestre dell'ultima casa si vedono i campi, non capannoni industriali e villette a schiera; l'Italia com'era, l'Italia che ogni tanto si ritrova in qualche angolo sperduto dello stivale, l'Italia che aveva quel magico sapore che in Sicilia a volte si torna a respirare nei vicoli, nelle piazze, negli angoli di strada dove le persone camminano, sorridendosi quando si incontrano.

12 commenti:

  1. Bellissimo raconto, vivido come sempre sai fare.
    Un piccolo appunto da subacquea maestrina rompina: la posidonia è una pianta, non un'alga, e oltre ad essere pericolosa per gli ancoraggi è anche tutelata in molti siti: le ancore ne strappano le radici. Qundi ti ringrazio da parte loro per aver cercato quella chiazza sabbiosa ;)
    (la sirematta)

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    1. La posidonia delle Egadi ha la particolarissima proprietà di essere vulnerabile solo di notte. L'ancoraggio è infatti vietato dal tramonto all'alba, di giorno evidentemente le marre non sono in grado di danneggiarla. Ma che il regolamento del parco sia solo un modo di spillare soldi ai diportisi, costretti a pagare profumatamente pontili e gavitelli è, ovviamente, solo un'illazione.

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  2. Bello vivere la Sicilia attraverso i tuoi racconti. Alla prossima avventura Comandante

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  3. Bello, intenso e denso di spunti; come al solito ci fai riflettere su quello che siamo arrivati ad essere e quello che abbiamo perso per correre dietro questa "vita". L'inizio della stagione promette bene Capitano :) B.V.

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  4. Mmmmh... mi hai fatto venir voglia di visitare Mazara del Vallo: quel rococò è strepitoso!

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  5. Come sempre ci fai rivivere il mare il vento la vela i tuoi viaggi le tue sensazioni e le tue emozioni merci mon capitaine, je suis impatient de vos prochaines aventures, à toute vitesse et un bon vent !

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  6. È sempre piacevole leggerti. Sui tuoi racconti si può fare un programma di viaggio, le sensazioni sono bell'e servite.
    Augusto

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  7. sono passati più di 10 giorni che non 'controllo' il tuo blog - grazie per il racconto della vita di dove le persone si sorridono quando si incontrano
    grazie ancora una volta

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