martedì 14 giugno 2016

Dal turchese al nero


"Oh mare nero, mare nero, mare ne',
tu eri chiaro e trasparente come me."


(L. Battisti, La canzone del sole)

«Vai di nuovo a Istanbul? Ma è pericoloso!» È questa la frase che negli ultimi tempi mi sono più spesso sentito ripetere da amici e parenti. E sì, vado di nuovo a Istanbul e ci vado ancora una volta in barca. Ci vado per diverse ragioni: perché sono innamorato di questa città e della sua gente, perché è un passaggio obbligato per raggiungere il Mar Nero (ed io sono diretto in Mar Nero), perché nei giorni che sarò lì uscirà il mio libro, Rotta a Levante, che ha in copertina proprio Istanbul, e ci vado, infine, perché ritengo assolutamente immotivata qualunque remora ad andarci che scaturisca dagli attentati dei mesi scorsi.
Sono passati tre anni dall'ultima volta che Piazza Grande ed io abbiamo solcato queste acque e ora, a poche miglia dalla Città delle città, ripenso a quei giorni mentre aggiusto un po' le vele per cercare di carpire a Eolo ogni minuscolo frammento di vento che stanotte pare soffiare con divina parsimonia.
  
Delfini sotto la poppa
Avanzo nel Mar di Marmara lungo il canale di separazione del traffico marittimo per rotta 82°, come prescritto dal VTS (Vessel Traffic System). Uno spicchio di luna rischiara un poco la coperta, mentre in lontananza i bagliori della metropoli turca si avvertono già a una trentina di miglia di distanza.
Quando sorge il sole, il profilo delle Isole dei Principi si disegna confuso nell'aria ferma e umida del mattino. Un forte flusso di corrente proveniente dal Bosforo mi costringe a parecchi aggiustamenti all'autopilota poi, poche miglia ancora, e passo le cime agli ormeggiatori del marina di Fenerbahce, sul versante asiatico della città.
 

L'interno di Santa Sofia
Trascorro una decina di giorni a Istanbul, facendo il turista, visitando o rivisitando i luoghi più interessanti, perdendomi fra i mille volti, estremi e contrastanti della metropoli. Un pomeriggio, sul traghetto che da Karakoy mi riporta verso il marina, uno scroscio improvvisto d'acqua ripulisce completamente l'aria dallo smog e dalla polvere e il sole molto basso rivela i contorni delle moschee e dei loro minareti in una luce che definire magica è riduttivo.
Al Gran Bazar faccio i miei soliti acquisti di Levi's e Lacoste: 15 euro i primi e 5 le seconde; il venditore mi giura che sono originali ed io non posso non credergli. Del resto, che ragione avrebbe di mentirmi?
  

Atmosfere da Gran Bazar
In Piazza Sultanahmet e sulla via Istiklal cerco i punti dove i terroristi si sono fatti esplodere. Il primo è facilmente identificabile, è davanti all'obelisco che l'imperatore Teodosio fece erigere nell'ippodromo. Il secondo, invece, non riesco a trovarlo dato che la strada è molto lunga e tutta sfavillante di vetrine. In entrambi, però, non una lapide, non un fiore che ricordi quei poveri morti; l'impressione è che il governo abbia poca voglia di indossare il lutto e molta di far dimenticare in fretta. Il mio intento è di rendere un omaggio ideale alle vittime, ma rischio di passare per un morboso turista del dolore e quindi evito di chiedere ai passanti.
 

C'è scappata pure una visita alle rovine di Troia
In porto faccio la conoscenza di Alì e Celal, due simpatici ingegneri neopensionati che hanno da poco acquistato una barca con il progetto di andare in Egeo. Si presentano subito con un piccolo vassoio di dolci preparati dalle mogli: un'ulteriore conferma dell'ospitalità dei turchi. Il Ramadan è appena cominciato ma loro non rifiutano l'offerta di una birra. Anche questa è una conferma: del fatto che la religione in Turchia è una cosa assolutamente individuale e non un monolita ineludibile, come immagina chi non conosce questo paese e lo pone nel generico calderone dell'Islam o, peggio, della diversità. Se devo parlare dei difetti dei turchi me ne vengono in mente un paio (che tendano a fregare gli stranieri quando si tratta di soldi credo di non essere, in quanto italiano, nella condizione di sottolinearlo troppo): quando sono alla guida mancano del più elementare rispetto dei pedoni e pochissimi parlano un inglese anche elementare. A questo proposito: un giorno, mentre cammino, un ragazzo mi allunga un volantino di una scuola di lingue. Ne approfitto per chiedergli un'informazione ma lui mi guarda sconsolato biascicando paradossalmente: «Sorry, no speak English!» In compenso cerco di imparare io qualche parola di turco; ho imparato come si dice capra: si dice koyun. Lascio immaginare il divertimento di entrare in un negozio di formaggi, guardare negli occhi il venditore, dirgli a gran voce: koyun! e vedere il suo viso illuminarsi compiaciuto, non meno del mio.
 

L'obelisco di Teodosio a Sultanahmet
Una mattina, come un improvviso pugno in faccia, un'auto esplode al passaggio di un convoglio di poliziotti. Rispettando tutti i crismi dell'era digitale, ne ho notizia dai messaggi preoccupati che mi arrivano sul telefono e su Facebook prima ancora che di prima mano. Tranquillizzo tutti sulla mia incolumità e per quel giorno me ne resto a bordo. Chiedo a Celal se ne sa qualcosa, ma mi dice che il governo ha imposto il silenzio stampa sulla vicenda: «Forse ne sai più tu da qualche giornale italiano», aggiunge. Vista la tecnica e l'obiettivo dell'attentato è probabile che sia opera del terrorismo curdo e non di quello islamico. La Turchia, del resto, ha diversi questioni aperte e la sua propensione a risolverle con la forza tende a generare una reazione uguale e contraria, come insegna la fisica. Il giorno dopo tutto sembra dimenticato: le strade e i ristoranti, esclusi quelli più prettamente turistici, sono pieni come di consueto: la città ha già voltato pagina. Indifferenza? Cinismo? Credo semplicemente che l'istinto di sopravvivenza prevalga su tutto: una città di 16 milioni di persone non può fermarsi per un attentato, così come non si fermava la vita in Italia quando lo stragismo imperversava dalle nostre parti. E poi, arrivando dal mare si misurano le dimensioni di Istanbul, le cui costruzioni si estendono per circa 70 chilometri; e allora una bomba, pur nel suo abissale carico di dolore e morte, appare incisiva e pericolosa quanto lo starnuto di una mosca.
 

Le barche da passeggio dei sultani al Museo del Mare
Quando arriva il momento di andare via, sono di fronte al problema di fare l'uscita dalla Turchia, registrare cioè presso le autorità che Piazza Grande e io lasciamo il paese. Di solito si paga un agente per fare le pratiche, ma qui mi hanno chiesto 500 euro, una follia, e allora decido di provare a farle da me, come già ho fatto anni fa ad Ayvalik, sbrigandomela in un paio d'ore. Stavolta, invece, vengo inghiottito in una voragine burocratica senza fondo, rimpallato da un ufficio all'altro in posti diversi e lontani, dove nessun funzionario parla una parola di inglese e dove ogni volta mi vengono richiesti nuovi e tendenzialmente inutili documenti, fra cui un attestato dell'ufficio immigrazione; come se non fosse evidente che sono un semplice turista che ha passato qui un paio di settimane con la sua barca. A complicare le cose ci pensano le pause: imprevedibili come da noi ma, a differenza che in Italia, non limitate a quella per il caffè, ma con l'aggiunta di quella per la preghiera (non dimentichiamo che siamo in periodo di Ramadan). In pratica, una volta manca il funzionario che mangia, una volta quello che prega, una volta quello che sta facendo la pipì...
 

L'ormeggio del traghetto a Kadikoy
Alla fine risolvo grazie alla collaborazione di Asya che lavora presso un'agenzia di trasporti marittimi al molo di Haydarpasha e che molto gentilmente si presta a farmi da interprete con il poliziotto da cui sono già stato tre volte e che mi ha sempre rimandato indietro con nuove e inedite richieste. «It's all a matter of his ego», mi dice (tanto il poliziotto non capisce una parola), «don't say anything but yes». Solo per caso scopro che alla voce: porto di destinazione, hanno scritto Sarajevo, Croazia e non Tsarevo, la località bulgara dove sono diretto. Non provo neanche a far notare che Sarajevo sta in Bosnia e non in Croazia e che si trova parecchio nell'entroterra, quindi è poco verosimile proporsi di raggiungerla in barca; mi limito a far correggere l'errore. Insomma, dopo solo nove ore, nove!, ho tutti i timbri che mi servono per lasciare il paese; e pensare che entrare è stato facilissimo, ci si aspetterebbe il contrario. Aprire una partita IVA in Italia è a confronto una passeggiata di salute: e ho detto tutto!
 

Fortificazioni bizantine lungo il Bosforo
Mentendo alle autorità sul fatto che sarei partito immediatamente, lascio il marina la mattina dopo per affrontare le venti miglia lungo il Bosforo che mi condurranno in Mar Nero. Il fascino di navigare in questo stretto è indescrivibile: ci sono le moschee, i bastioni bizantini, i palazzi imperiali, una smodata quantità di grattacieli enormi, le case sulle colline, le ville sul mare. E poi ci sono i mercantili, i traghetti, i rimorchiatori, i gozzi, gli yacht dei ricchi istanbulioti. E ci sono anch'io, a motore perché a vela è vietato, ma tanto la corrente è talmente forte e il bordeggio impraticabile per ragioni di traffico che lo farei a motore comunque. A dire il vero, in un punto aggancio un vento favorevole e per un'oretta apro il genoa, guadagnando così un nodo: ne faccio tre, anzichè due, sommata algebricamente la corrente che in alcuni punti arriva a tre nodi.
Passo sotto il primo ponte, quello che per la prima volta, nel 1973, ha collegato l'Asia e l'Europa, intitolato al fondatore della repubblica, Mustafà Kemal, detto Ataturk, padre dei turchi. Passo sotto il secondo ponte, più recente, intitolato questo a Mehmet Fatih, il sultano ottomano che nel 1453 ha conquistato Costantinopoli. Lungo la rotta, lo stretto fa un paio di anse in cui sarebbe possibile fermarsi e stare all'ancora ma, visto che sono formalmente già uscito dal paese, preferisco non rischiare una bega con la polizia; non riuscirei a sostenerla, sono ancora mentalmente esausto per l'accaduto di ieri. Peccato, perché lo scenario è davvero incantevole.
  

Ci passerò?
All'ora prevista dal canone religioso, dai minareti di entrambe le sponde parte il canto dei muezzin, sfasati di pochi istanti fra loro, come a rincorrersi l'uno con l'altro nel pronunciamento della devozione ad Allah. I ristoranti sulle rive sono comunque tutti pieni di gente che mangia e beve tranquillamente, tanto per ribadire il concetto di laicità della società turca che dicevo prima.
Una gigantesca nave porta-container sembra sbucare dalle case in un punto in cui il Bosforo si restringe e fa un piccolo angolo. Tengo saldo il timone fra le mani, ma una misurazione rapida sulla carta nautica mi anticipa la certezza che, seppur passando molto vicini, c'è spazio per entrambi. Una piccola ma trascurabile difficoltà è data dal fatto che le segnalazioni marittime (verde e rosso, per intenderci) sono posizionate per chi procede in direzione opposta alla mia, quindi setto la mia mente per ragionare al contrario di come è abituata.
 

Cala la notte in Mar Nero
Dopo qualche ora inizio a intravedere la sagoma del nuovo ponte in costruzione, il terzo, anche questo sospeso, che sembra una gigantesca arpa pronta ad essere suonata dal vento. Passo sotto anche a questo, pensando a quanti ponti grandi e importanti hanno visto sfilare Piazza Grande sotto di sè: da quello rosso di Lisbona, al Rion di Patrasso. Dal VHF arrivano voci che parlano lingue nuove: non più turco ma russo, forse, o bulgaro. Poi, cercato a lungo, eccolo finalmente davanti a me: il Mar Nero, Kara Deniz in turco, Cerno More in russo, Ponto Eusino per gli antichi. Faccio molta attenzione alle tante navi che da Odessa, da Sebastopoli, da Novorossisk, convergono, come in un imbuto, verso il Bosforo che sto lasciando e mi metto in rotta per Tsarevo. Penso che sono qui da solo, senza Internet, senza cellulare, su una rotta poco battuta e provo una fantastica sensazione di solitudine positiva, creativa. Piazza Grande prende subito un bel passo a circa cinque nodi ed io festeggio stappando una birra e cantando a squarciagola Battisti: Oh mare nero, mare nero, mare ne'!
Mi aspetta una notte di navigazione, apparentemente la sola cosa veramente nera di questo mare.

POST SCRIPTUM
Per chi fosse interessato a leggere altro su Istanbul, segnalo che sulla rivista SVN SoloVelaNet, a fine luglio, uscirà un articolo scritto da me, dove ci saranno anche alcune informazioni pratiche per chi ha in progetto di veleggiare da queste parti.
Segnalo inoltre gli articoli di questo blog dove in passato ho raccontanto delle mie navigazioni in questi mari:
www.piazzagrandevela.it/2013/07/nel-bosforo-arteria-pulsante-di-istanbul.html
www.piazzagrandevela.it/2013/07/dietrofront-prima-che-il-mar-di-marmara.html

8 commenti:

  1. Bel viaggio e belle sensazioni che trasmetti quando ti leggo. Buon Vento Capitano

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  2. Cosa non si fa per un paio di Levi's !!
    Lettura gustosissima in attesa del libro.
    Buon viaggio

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  3. Ciao Luciano, bell'articolo. E l'interesse di leggere i prossimi da quella parte di mondo e' grande. A presto. BV

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