sabato 29 giugno 2013

Plakas, un porto senza case e senza diporto


Mi sono sempre piaciute le frontiere, i posti di confine, hanno quel sapore vago di fine del mondo conosciuto, guardi al di là e ti immagini chissà cosa di misterioso ed esotico. Un'estate del liceo, con tre amici partimmo in  autostop per Capo Nord, estremo lembo settentrionale d'Europa, quando arrivammo, stanchi ed infreddoliti, ci sembrò di essere sospesi fra il presente ed una dimensione extratemporale cui il sole di mezzanotte conferiva un atmosfera di tramonto infinito. Ricordo poi alcune frontiere miltarizzate, come quella fra la Cina ed Hong Kong, o fra la Croazia e la Serbia negli anni '90, controlli doganali lunghi ed estenuanti, funzionari scortesi, ma l'impressione era che si stesse pagando il dovuto dazio per andare di là, andare oltre, dove solo pochi erano ammessi. Oggi l'Unione Europea ha abbattuto le frontiere, il clima disteso con molti altre nazioni ha eliminato i visti e la burocrazia, la frontiera sopravvive come luogo ideale, una cesura fra due mondi in permanente fusione osmotica seppur ciascuno con una vita propria.

Sono arrivato un po' per caso a Ormos Plakas, sulla costa orientale di Limnos. Volevo spezzare le miglia che mi rimangono per entrare nei Dardanelli, avevo bisogno di un posto per passare la notte e date le condizioni meteo quest'ampia baia poco profonda mi è sembrata adatta. Due bracci di molo, due linee di frangiflutti, compongono un piccolo porticciolo di pescherecci. E' un posto strano, non ha un paese alle sue spalle, solo due case bianche su una collina, poi intorno nient'altro che campagna. La costa Turca, con la piccola isola di Goekceada è a sole 12 miglia, un tiro di schioppo praticamente, e per la prima volta nella mia vita, sono in un porto dove non ci sono altre imbarcazioni da diporto. Incredibile questa Grecia, la sorpresa, l'emozione, sono sempre lì ad attenderti, anche quando non le cerchi. Sì, è un posto di confine, lungo la strada sterrata corre perfino una fila di pali della luce, o telefonici non so, che danno un'aria da frontiera americana, una trasposizione nel tempo e nello spazio di quanto descritto magistralmente da tanti scrittori d'oltre oceano, Steinbeck prima di tutti.

Chissà che emozione doveva essere andar per mare quando tutto il Mediterraneo era così, quando il turismo di massa non aveva ancora devastato i tanti piccoli borghi sulla costa, preziose gemme che non hanno retto tanta pressione antropica; quando anche Stintino o Maratea erano come Plakas, isole di pace, luoghi di riparo per i pescatori locali ed i rari naviganti di passaggio. Qualcuno gli spieghi che hanno venduto l'anima per un pugno di spicci che in molti casi si esauriscono nel giro di un paio di generazioni, lasciando ai posteri il fardello di un territorio distrutto per sempre ed un'identita storica cancellata da un finto progresso.

Entro dentro il porto, un tizio in banchina mi indica a gesti dove ormeggiarmi, ma l'ecoscandaglio mi da 2,1 metri, temo che avvicinarmi ancora possa essere pericoloso, rischio di toccare sul fondo. Provo a mettermi fuori dal porto, ridossato comunque dai frangiflutti, un'altro tizio mi fa segno di non avvicinarmi troppo alla costa, guardo di nuovo l'ecoscandaglio, 1,9 metri, lo ringrazio e ingrano la retromarcia. Do fondo 50 metri oltre, vicino ad un piccolo peschereccio, l'uomo a bordo mi indica col dito un punto sicuro, poi in un inglese discreto mi chiede dove vado e da dove vengo. Quest'anno il tempo è buono, mi fa, alludendo evidentemente al Meltemi non ancora in regime estivo. Ovunque vada trovo cordialità, gentilezza, non mi sono mai sentito una preda da spolpare, come invece avviene in tanti altri paesi del mondo, l'Italia per prima.


Non ci sono rumori, solo ogni tanto il rombo lontano di un'auto che fugge via alzando una nuvola di polvere, la piccola spiaggia che divide il mare dalla campagna brulla e deserta è ricoperta di posidonia morta, poco più in là, all'ombra di alcuni eucalipti, un piccolo stormo di gabbiani si gode il riposo di fine giornata. Voglio imitarli, domani voglio essere riposato per affrontare le miglia che mi rimangono per entrare in Turchia ma soprattutto essere fresco per i Dardanelli, un passaggio che può creare non poche difficoltà ad una piccola barca, per le forti correnti contrarie e per l'intenso traffico di grandi navi. Intanto preparo la bandiera della Turchia per alzarla nel momento in cui entrerò nelle acque territoriali di quel paese. Il confine è là, poco oltre il faro, domani attraverserò la frontiera, domani sarò oltre il confine.






venerdì 28 giugno 2013

Limnos, un'isola viva e tranquilla.


Lasciare il paradiso non è una cosa che si fa a cuor leggero. Stamattina mi sono svegliato con calma, ho fatto il caffè e mi sono seduto sulla tuga a guardare la fantastica insenatura dove ho passato la notte, certo che a Skiros prima o poi ci tornerò. Mi tocca il bagno mattutino, un tuffo per andare a terra a recuperare la cima che tiene Piazza Grande ferma sulla sua linea d'ormeggio, un'esperienza tonificante, frizzantina, nonchè esaltante per l'incredibile trasparenza dell'acqua. Salpo l'ancora, poi giro la barca e torno indietro per dare l'ultimo saluto a Francesca e Giovanni, che percorreranno da oggi una rotta diversa dalla mia. Vieni a farci l'inchino?, scherza Giovanni. In un certo senso sì, voglio ringraziare ancora una volta i miei amici per l'affetto che mi hanno dimostrato in queste settimane di navigazione insieme. Un cenno, un sorriso, poi metto la prua verso il mare aperto ed esco dalla baia senza voltarmi indietro. Odio gli addii strazianti, odio l'indugio nei saluti, anche se questo non è certamente un addio; ci rivedremo, ne sono certo, molto presto da qualche parte in questo Egeo meraviglioso.

In un mare liscio come l'olio percorro a motore, senza fretta, le poche miglia verso est che mi consentono di scapolare Capo Lithari, poi mi metto in rotta verso nord, ancora non so esattamente per dove. Deve esserci un po' di corrente contraria, perchè per fare più di 5 nodi devo mettere il motore più su di giri del solito. Di vento invece non ce n'è, non sufficiente a navigare almeno, ma meglio la calma piatta che il Meltemi sul naso! Sempre preso dal mio obiettivo supremo, Istanbul, e sempre convinto che questo buco di vento vada sfruttato al massimo, guadagnando quanto più possibile in latitudine, sono tentato dal mettere la prua direttamente sui Dardanelli. Dovrei fare una notte di navigazione, però, e l'ingresso dello stretto, oltre che problematico per le correnti contrarie, è anche uno dei punti del Mediterraneo a più alta densità di traffico di navi mercantili. A questo aggiungiamo che le previsioni danno, dalle 3 UTC di stanotte, quindi dalle 6 locali di domani, vento contrario piuttosto forte, intorno ai 30 nodi. Forse sarebbe un azzardo, soprattutto perchè a Skiros non sono riuscito a scaricare un bollettino meteo aggiornato. Ok, continuo così, direzione Limnos, un'isola piuttosto grande più o meno sul meridiano dei Dardanelli, arriverò col buio, ma a questo penserò quando sarà il momento.
Avanzo con davanti, in lontananza, il profilo sfumato di Eustriatos, una piccola isola, piuttosto distante da tutto, dalle rotte commerciali e da quelle classiche del diporto, per quanto di diporto quassù non ce ne sia poi molto. Non sono infatti molte le barche che tentano di risalire il Meltemi, soprattutto ad estate già iniziata. Eustriatos mi tenta, è proprio il genere di isola che piace a me, quella con pochi abitanti, con poco turismo, con poca confusione. Ma rischio di rimanere intrappolato lì se il Meltemi nei prossimi giorni dovesse riprendere a soffiare forte, ed io potrei mancare clamorosamente questa opportunità fortunata di avvicinarmi alla mia meta. Da domani dovrò stare fermo per almeno 48 ore, in attesa che passi una nuova sfuriata. All'orizzonte scorgo qualcosa che somiglia al profilo di Manhattan, è un'enorme porta-container, l'AIS, lo strumento che mi informa su tutto il traffico marittimo intorno a me, dice che è lunga più di 200 metri. L'altezza direi che è proporzionale ed i container impilati a sbalzo gli conferiscono il curioso aspetto di uno skyline fatto di grattacieli. Poi null'altro, solo mare, blu, intenso, vivido.
 Prima, mentre guardavo l'AIS sullo schermo del computer, mi sono accorto che per quanto non scorga nessuno all'orizzonte, c'è un incredibile traffico mercantile verso e dai Dardanelli, una fila interminabile di navi che come formiche operose percorrono nei due sensi la strada per il loro formicaio dopo essersi rifornite di cibo. In effetti, buona parte di questo traffico è fatto di petroliere che vanno e vengono dal Mar Nero, dove riempono le stive col loro prezioso carico di oro nero di provenienza russa. E' il modo in cui il mondo occidentale si approvvigiona del cibo di cui ha più fame, l'energia. Sorrido pensando che sono spinto dal vento, un'energia inestinguibile che se assecondata può portarmi ovunque. Il traffico è così intenso che le navi si chiamano continuamente fra loro sul VHF percomunicarsi le variazioni di rotta che eseguono per evitare l'abbordo.

Nel primo pomeriggio si alza un po' di vento, do vela, Piazza Grande si mette sui 5 nodi e mezzo e finalmente si spegne il rumore scoppiettante dell'entrobordo. Captando probabilmente il segnale dal ripetitore di Eustriatos, riesco a collegarmi ad Internet e scaricare delle previsioni meteo aggiornate. L'orario di inizio del vento forte è stato posticipato di qualche ora, sono tentato di accostare a dritta e tentare di raggiungere Canakkale, primo porto della Turchia. Però ci penso bene, sarebbe parecchio stancante e mi costringerebbe ad entrare nello stretto dei Dardanelli di notte. Desisto e lascio la prua su Limnos, mentre alla mia sinistra, un piccolo stormo di gabbiani, volteggia in aria e percorre un pezzettino di rotta insieme a me. 
Non arriverò prima di notte, quindi apro il portolano per scegliere bene l'atterraggio. Inzialmente pensavo di entrare nella grande baia che c'è a sud e fermarmi a Mudrou, dove c'è un porticciolo con una piccola banchina. Però, tentare un accosto di notte, da solo, in un porto che non conosco, non mi sembra il caso. Decido allora di andare a Myrina, sul lato ovest dell'isola, dove il porto è dentro una grossa insenatura naturale con fondo sabbioso. E' li che passerò la notte, all'ancora, per poi andare in banchina col favore della luce dell'indomani. Quando il sole inizia a calare, un tramonto meraviglioso mi rivela in controluce il profilo dell'ultimo dito della penisola Calcidica, lo spettacolo è veramente mozzafiato.

Verso le 10 di sera incomincio a vedere le luci dell'isola e poco dopo i fanali rosso e verde di ingresso nel porto. I fari di un auto che percorre un tornante sul profilo della costa ingannano per un istante il mio occhio, dando l'illusione di un faro che non c'è. Accade spesso quando la strada punta verso il mare e poi con una brusca curva rientra verso la costa, che le macchine illuminino il mare con lampi intermittenti, come appunto fanno i fari. Ma lo so, ci sono cascato una volta tanti anni fa, ora controllo bene la carta prima di allarmarmi. Alle 11 entro nell'avanporto e do fondo all'ancora su 5 metri di sabbia, fra un grosso ketch francese ed una piccola barca inglese. Il lungomare è acceso di taverne e bar, lo guardo dal pozzetto mentre festeggio l'arrivo con una birra gelata. 
La mattina seguente mi sveglio dopo un sonno profondo e subito sento che il vento, preannunciato ieri, è certamente arrivato. Do uno sguardo all'anemometro, le raffiche arrivano a 30 nodi, andare in banchina potrebbe risultare difficoltoso, ma tanto nessuno sembra aver intenzione di mollare le cime e spazi liberi non ne vedo. Un po' mi girano le scatole, ho bisogno urgente di fare cambusa e poi una passeggiata a terra a dare uno sguardo a quello che sembra essere un paese molto carino ho proprio voglia di farla. Torno sottocoperta e dopo poco la barca risuona dell'inconfondibile rumore della catena di un ancora che viene sollevata, qualcuno pare aver deciso di salpare. Piazzo rapido i parabordi su entrambi i lati, do volta a due cime a poppa e ne tengo altre due a portata di mano, poi, non senza qualche difficoltà per il vento sostenuto, recupero la mia ancora e mi avvio in banchina. Non è una manovra facile da eseguire da solo, il vento oltre ad essere parecchio è proprio laterale, il peggio che si possa avere per accostare. Beh, è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo, mi faccio coraggio, sul molo vedo un paio di persone già pronte ad afferrare le mie cime, gli faccio un cenno di conferma, cerco il punto dove calare l'ancora, mi sposto qualche metro sopravvento e corro a prua ad aprire la frizione del verricello e lasciar filare un paio di volte il fondo, che sta sui 6/7 metri. Poi serro la frizione quel tanto che blocchi la caduta libera della catena e torno a poppa per manovrare. Devo dare parecchio gas per mantenermi allineato, leggermente sopravvento per sicurezza, ma calcolo che alle brutte mi appoggerò alla barca sottovento che pare tosta ed in grado di reggermi per qualche minuto. Invece arrivo esattemente perpendicolare, perfettamente allineato al calumo, lancio le cime, le recupero passate a doppino ed il gioco è fatto. 10 e lode, manovra perfetta! Per sicurezza metto anche uno spring a prua, servirà ad evitare all'ancora una eccessiva trazione laterale.

Per prima cosa mi reco in Capitaneria, sono certo che qui avranno il tanto sospirato Dekpa, il porto di Limnos è importante. Il comando, proprio sulla piccola piazza dietro la banchina, è in un vecchio palazzetto degli anni '20, l'atrio e le scale sono pavimentate con la tecnica che si usava allora frequentemente anche in Italia, il cosiddetto seminato veneziano, un impasto di calce frammisto a schegge di marmo, che da un tocco di eleganza ad un edificio altrimenti austero come si conviene ad un piccolo ufficio pubblico di provincia. Buone notizie, ce l'hanno! Me lo riferisce una gendarme molto carina e professionale, però devo prima andare a pagare la tassa all'ufficio imposte, a circa un Km e mezzo di cammino. Che vuoi che sia, mi faccio spiegare bene dov'è e vado. Taxes office, mi spiega la marinaia, "euforia" in greco. Beh, euforia nel pagare le tasse mi pare troppo, però trovo poca fila, cortesia, e in mezzora me la sbrigo. Se penso ad un paio di mattine sane passate all'Agenzia delle Entrate di Viale Trastevere poco prima di partire...
Per una volta i vicini di ormeggio sono simpatici, due coppie anziane, una francese ed una olandese. Quest'ultima inizia a parlarmi, non capisco, chiedo di ripetere, continuo a non capire. Poi lui mi chiede: ma non sei fiammingo? Ah, accidenti, la bandiera belga! No, italiano, non è la prima volta che mi parlano in questa misteriosa lingua dopo avermi preso per suddito di re Leopoldo. Faccio due passi, il paese è molto carino, semplice, dominato dalla rocca, una fortificazione bizantina edificata su resti antichi e passata poi di mano in mano seguendo il corso della storia ed il susseguirmi delle dominazioni; in alto svetta ora maestosa la bandiera della Democrazia Greca.
Passeggio per il piccolo corso coperto di rampicanti, poi provo a perdermi nei vicoli, ma sono poche stradine in tutto e rapidamente esaurisco l'acciottolato percorribile. Faccio la spesa, bevo una birra ad un tavolino, poi me ne vado a vedere il lungomare dal lato opposto al porto. Una lunga fila di bar, tutti piuttosto eleganti e alle spalle tante piccole e graziose costruzioni in stile coloniale, evidentemente edificate nello stesso periodo dell'ufficio della CP. Pochissime le auto in giro, dappertutto si respira un'aria tranquilla, specialmente in porto, tutto praticamente pedonalizzato e tenuto lucido come uno specchio. Mi piace questo posto, semplice, pulito, curato ma non fichetto. Chissà com'è il resto dell'isola, ci sono altri nuclei abitati, ma non ho molta voglia di cercare un motorino in affitto e mettermi a guidare. Non lo faccio da un mese, anzi, prima di partire ho proprio venduto la macchina, tanto sapevo che per qualche mese non mi sarebbe servita, inutile continuare a pagare bollo e assicurazione per lasciarla marcire in strada.
In serata conosco Anghelos, che non è un greco ma un umbro doc, un velista che frequenta lo stesso forum, ADV, dove scrivo spesso anch'io. Ha visto il guidone che ho sotto la crocetta di sinistra e si è avvicinato. E' piccolo il mondo, quest'inverno avevo risposto ad un suo annuncio per comprare un'ancora che vendeva, a saperlo me la facevo consegnare qui! Stamattina un ragazzo che è a bordo con lui mi aveva fatto notare che qualcuno aveva lasciato un credito di 3 euro nella colonnina dell'elettricità proprio di fronte a me, perchè non approfittarne quindi per dare una bella ricaricata alle batterie. E dulcis in fundo, ci sono anche i bagni con le docce, non il top in fatto di eleganza e pulizia, ma sono gratis, ci si accontenta, come gratis è l'ormeggio ed un sacco di altre cose che invece in Italia si pagano e spesso sono in condizioni peggiori.
Cena frugale, qualche chiacchiera su FB, poi a nanna. Il vento fischia ancora forte fra le sartie, domani sarò senz'altro ancora qui e confesso che la cosa non mi dispiace affatto.














giovedì 27 giugno 2013

1000


 
Mille miglia dalla partenza, 25 giorni, 168 ore di effettiva navigazione, una velocità media di 5.9 nodi.

mercoledì 26 giugno 2013

Skiros: toccata e fuga.



Sono le sei e mezzo del mattino quando la mia sveglia suona, destandomi dal sonno profondo in cui sono immerso. Con un gesto istintivo afferro il telefonino per spegnerla, mentre nelle orecchie mi giunge ovattata una musica che la barca amplifica come una cassa armonica. Metto la testa fuori dal tambuccio, un bar sul porto lascia che un altoparlante sputi le ultime note di una lunga notte per i suoi pochi avventori rimasti. Non c'è un alito di vento, il mare è un olio che vira dal blu al verde a seconda dell'angolo in cui un sole ancora basso lo colpisce con i suoi raggi. Tutto secondo i piani, quindi, il terribile Kafireas, lo stretto di Doro che  terrorizza i naviganti al solo nominarlo, oggi dovrebbe starsene buonino. Un caffè con la moka, una sciacquata al viso e via, mollo le cime e in un attimo sono fuori dal porto di Karistos. Ancora una volta la Guardia Costiera greca, sempre molto cortese devo dire, mi rimanda alla prossima sosta per il Dekpa, l'ormai famigerato documento che le imbarcazioni devo avere per circolare liberamente nel paese, ma di cui gli uffici dell'autorità portuale sono puntualmente sprovvisti. La questione è un po' controversa, siamo in ambito comunitario, quindi non possono chiedere il Transit log che devono invece fare tutti gli altri, ma il Dekpa stesso secondo alcuni è in contrasto con le leggi sulla libera circolazione emanate dalla UE. Pare anche che esista la legge ma non la sanzione prevista, una stortura normativa che rende i greci molto simili a noi italiani, una conferma dell'abusato "una faccia, una razza", stavolta su un aspetto poco positivo. 

Ieri sera in banchina si sono presentati due agenti della GC, mi hanno chiesto i documenti, ma quando stavo per mostrarglieli mi hanno risposto che no, non ora, domani in ufficio. Ma io domami parto presto, ho risposto. Ok, allora faccia vedere. Gli porgo il libretto di navigazione, l'assicurazione e le altre scartoffie: non ho il Dekpa, aggiungo  spiegandogliene la ragione. E cos'è il Dekpa, mi fa il più anziano in grado. Il collega gli dice qualcosa in greco, il tizio si allontana, fa una lunga telefonata, poi torna e molto gentilmente mi dice: lei ha bisogno del Dekpa! Però noi non ce l'abbiamo, dove sta andando? A Skiros, rispondo. Ma A Skiros non ce l'hanno di sicuro, faccia una cosa, vada invece..., e mi dice il nome di un porto che non conosco, che lì forse ce l'hanno. Ah, grazie, farò certamente come mi dice lei. Grazie, buonasera. Forse, forse ce l'hanno. Io dovrei cambiare la mia rotta per andare in un posto dove forse hanno un Dekpa per me. Allora ci vado forse, oppure forse no. Buona la seconda.

Il motore sputacchia pigramente l'acqua che aspira per il raffreddamento, spingendomi a circa 5 nodi e mezzo, a non più di 1800 giri al minuto. In questo modo, è testato, consumo circa un litro e mezzo di nafta l'ora, direi chre va benissimo. Con un pizzico di suspense, il passaggio è largo non più di 300 metri, passo fra l'isolotto di Mandilou e l'isola madre, con un occhio al cartografico ed il pensiero rivolto al cartografo che ha scandagliato questa zona per mapparla. Già, perchè le carte nautiche della Grecia sono state per buona parte redatte 150 anni fa, hai voglia a fidarti del GPS, lui la posizione te la darebbe pure quasi perfetta al metro, ma è la georeferenziazione sulla carta che può giocare brutti scherzi. Sempre all'erta quindi quando ci sono bassifondi nei paraggi.

Mano mano che mi addentro nello stretto, il vento cresce un poco, fino a raggiungere una 20ina di nodi ed alzare un pochino d'onda, corta e antipatica, esattamente di prua. La barca a volte sbatte un po', penso a come sarebbe stato infilarsi in questo inbuto solo due giorni fa e mi rinfranco. Ci voli culu 'nta vita, diceva sempre il padre di un mio amico siciliano, non posso che dargli ragione. Superato il Capo Kafireas, il vento cala ed io mi metto per rotta 0, con 45 miglia davanti da percorrere per raggiungere il lato sud di Skiros, dove ho ancora una volta appuntamento con Francesca e Giovanni che verranno direttamente da Capo Sunio. La navigazione procede senza storia, la traina calata con un polpetto fosforescente non da alcun frutto, mi gioco la carta del Rapala, ma non cambia nulla. Provo a dare un po' di vela, ma il vento è davvero poco, lascio solo la randa, ma fondamentalmente per la pigrizia di richiuderla.

Ad un certo punto la radio VHF inizia a gracchiare una conversazione di cui colgo bene uno dei due interlocutori, Olympia Radio, la centrale greca che coordina le comunicazioni marittime, ed una voce che parla in inglese con accento italiano ma di cui riesco a cogliere pochissime, frammentate parole. C'è una barca in difficoltà, una barca italiana con due persone a bordo. Olympia radio chiede il nome dell'imbarcazione, Pacatoga mi sembra di capire. Pacatoga? Ma la barca di Francesca e Giovanni si chiama P'aca' Y P'allà! Oddio, saranno mica loro? E dove staranno poi, quando l'operatore lo chiede la risposta non mi arriva. Gli mando un sms: amici, ditemi che è tutto a posto, altrimenti giro la prua e vengo a salvarvi, corro. Se... corro! A 5 nodi, 7 se do tutta manetta, arrivo fra un paio di giorni! Il telefonino manda un bip, sono loro, qui tutto bene, e tu? Io? Spaventato per voi!
Per fortuna in Grecia i cellulari prendono sempre anche in mare aperto, pare che per risparmiare sui ripetitori, le compagnie telefoniche ne abbiano messi pochi ma molto potenti. Sarà contento chi ci abita vicino, contento delle radiointerferenze, mi immagino che gli gracchi anche la lavatrice quando l'accendono, e dell'incidenza di certe malattie, sempre che gli studi che attestano il contrario abbiano torto. Ma questi studi sono sempre commissionati dalle aziende telefoniche, chissà come mai.

Skiros è ormai a poche miglia quando Giovanni mi chiama via radio confermandomi che è tutto a posto. Accostano a sinistra, li seguo, fanno strada infilandosi in una piccola baia racchiusa fra le rocce. Ci disponiamo affiancati con ancora e cima a terra e... benvenuti in paradiso! Non saprei come altro definire questa minusola insenatura, c'è tutto quello che è rappresentato dall'iconografia onirica dei velisti, persino un piccolo gregge di capre ed un gruppetto di pastori con il loro bivacco appena oltre il minuscolo arenile. Facciamo il bagno, raggiungiamo la spiaggetta, ci fermiamo a chiacchierare e a guardare Piazza Grande e P'acà y P'allà che dondolano placide. Poco dopo i pastori iniziano a camminare verso di noi, non hanno delle belle facce a dire il vero. Siamo seduti, Francesca, Giovanni ed io, e per un attimo ho la sgradevole sensazione di sentirmi circondato da quattro uomini in piedi, ciascuno con la sua brava verga da pastorello del presepe natalizio in mano.

Qualche parola in inglese elementare, un paio di sorrisi, poi il solito mantra, una faccia una razza, e se ne vanno a sedersi un poco più in là. In mano hanno delle bottiglie di ouzo, il tipico liquore greco, a me già ora paiono poco sobri, speriamo bene, non credo ci metterebbero molto a sopraffarci. Inutile nasconderci che ricco bottino siamo potenzialmente per loro, in termini economici e anche di capitale umano: donna bianca e bionda essere con noi! Iniziamo per gioco a progettare una strategia difensiva e fare l'inventario delle armi in nostra dotazione, che si riduce a qualche fucile subacqueo. Tento di convincere Francesca a sacrificarsi per noi, a fargli perdere tempo mentre noi chiamiamo i soccorsi, ma non ne vuole sapere.

La sera sono invitato a cena dai vicini di ormeggio, ho giusto in frigo una bottiglia di Vermentino gelato, Giovanni tentando di soffriggere del guanciale lascia uscire una grossa nuvola di fumo da un oblò che sembra un principio di incendio. Aperitivo, cena, chiacchiere. E poi la luna, il rumore del mare, il silenzio rotto solo da un urlo beluino dei pastori, chissà se è rivolto a noi o se è un ancestrale richiamo gutturale per radunare il gregge. Speriamo la seconda e continuiamo a chiacchierare. E' il momento dei saluti, ma non solo della buona notte, le nostre rotte si dividono qua, dopo quasi un mese che navighiamo di conserva, seppure con giorni di stacco, io andrò verso est, a Istanbul, per comprare questi benedetti jeans che mi servono, loro verso nord, verso la Calcidica. Ci rincontreremo nelle prossime settimane? Spero proprio di sì, sono stato benissimo con loro, ci conoscevamo appena Francesca ed io, incontrati virtualmente su Slow Sail, un simpatico gruppo di Facebook; Giovanni invece l'ho incontrato per la prima volta 20 giorni fa in mezzo al Tirreno, eppure ora siamo così affiatati, così vicini. Ho dei nuovi amici, simpatici, cordiali, generosi: cosa volere di più!

Me ne torno a bordo, chiudo il tambuccio e mi leggo qualche pagina della guida della Grecia. Pare che a Skiros sia morto Teseo, quello che a Capo Sunio aveva lasciato morire, per dolo o negligenza, il padre Egeo. Beh, per una qualche strana e fatale nemesi, è stato spinto in un dirupo dal re dell'isola che voleva farsi amico Menesteo, colui che a Teseo aveva usurpato il trono di Atene. Che posto magico, peccato dovermene andare via di corsa domattina, per sfruttare al massimo questo buco di Meltemi che durerà in tutto neanche 48 ore. Spengo la luce, una capra bela, sono felice.



domenica 23 giugno 2013

Stretto di Doro


I posti in Grecia hanno tutti una mezza dozzina di nomi. Un paio sono i loro, uno antico ed uno moderno, poi ci sono le translitterazioni in alfabeto latino, un paio secondo le diverse opinioni di corrispondenza dei grafemi, poi c'è il toponimo inglese ed infine quello italiano, a volte, soprattutto nelle ioniche e nel Dodecaneso, testimonianza di una italianizzazione forzata del territorio fatta durante il ventennio fascista. Questa piccola premessa per introdurre il prossimo punto caldo del viaggio, lo Stretto di Doro, o Stenon Kafireos o Kefiras Strait. Comunque lo si metta, un dei passaggi più tosti di tutto il Mar Egeo. Ma come, direte, dopo avercela menata con Capo Sunio, ora viene fuori che il punto difficile è un altro? No, non sto facendo come l'asinello con la carota attaccata al bastone, è che lo Stretto di Doro è così tosto che all'inizio non avevo proprio considerato di farlo, scegliendo invece di passare a est dell'isola Eubea, lungo il canale fra questa e la terraferma, ridossato dal Meltemi. Purtroppo, come tutti i canali, è percorso da correnti molto forti, verso sud in quresto caso, quindi opposte alla mia rotta, quanto al ridosso, è di sicuro dal mare, ma non dal vento che, sempre come accade nei canali, può subire accelerazioni significative in senso longitudinale. Se ci aggiungiamo che è lungo più di 100 miglia, basta fare due più due per capire che non è comunque una rotta facile.

Un vecchio adagio dice che la più precisa pianificazione non può sostituire una botta di culo ben assestata ed io è proprio quella che stavo aspettando. Intendiamoci, non un colpo di fortuna cieco, diciamo che confidavo di trovare qualche giorno di vento non troppo sostenuto per affrontare l'Egeo centrale, il regno incontrastato del Meltemi. Lo confidavo perchè il Meltemi in giugno generalmente non è ancora bene assestato e concede, come le previsioni sembrano dire per le prossime 36/48 ore, momenti di tregua. Insomma, domani via attraverso il Kefiras, l'imbuto cui perfino il Sig. Venturi in persona si sarebbe intimorito, specialmente a guardarlo da sud verso nord. Farlo senza la certezza del meteo sarebbe una pazzia, tutti i portolani mettoni in guardia, parlano di tempeste forza 10, di navi enormi in difficoltà, ed io che pazzo non sono alle prime avvisaglie di difficoltà sono pronto a girare la prua e tornarmene indietro. Ma tentar non nuoce, del resto anche Capo Horn, il terrore di tutti i bastimenti dell'antichità, c'è chi l'ha fatto in bonaccia. Guardando la carta nautica della zona si capisce bene quello che sto dicendo.

Stamattina sono salpato verso le 10, doppiando Capo Sunio su un piede solo (c'erano 20 nodi scarsi di vento!) e arrivando, non senza prendere una sventolatina di 30 nodi strada facendo, a Karistos, estremo sud dell'Eubea. Lungo il cammino, sullo sfondo, le isole di Andros, Tinos, Kea e, lontana in una nuvola di foschia, Mikonos, una delle perle delle Cicladi; chissà che non ci passi al ritorno, magari a fine estate, con la speranza di trovarla meno affollata che in piena stagione. Karistos è una brutta cittadina moderna, con brutti palazzi affacciati sul mare. Intorno la costa è abbastanza intatta e soprattutto praticamente deserta. A nord di Capo Sunio, invece, la devastazione edilizia, operata nel mito della seconda casa al mare, ha fatto danni non meno che sulla nostra costa tirrenica. Anche il porto è bruttino, con una brutta banchina in cemento, ma piuttosto comodo, anche se la musica assordante dei bar del porto non fa ben sperare per la notte. E' una sosta tecnica e come tale va presa, anche se delle due urgenze, nafta e cambusa, sono riuscito a fare solo la prima. E' domenica e tutti i negozi sono chiusi. Forti i greci, hanno la peggiore crisi dell'ultimo cinquantennio, ma le feste sono feste, non ci sono santi! Non mi sembra male la loro scelta, l'ho già scritto, sono molto pià rilassati di noi, che siamo stati devastati di tasse ed imposte con lo spauracchio di finire come loro ma sotto certi aspetti, non economici ma sociali ed umani, stiamo messi peggio. Giorni fa ne parlavo con un ragazzo piuttosto sveglio di un marina, diceva che le cose vanno meglio, parlava dell'Italia come un colosso economico, con ammirazione. Ammirazione che è virata improvvisamente sul riso appena ha nominato Berlusconi. Ma mi fermo qui per pudore...

In banchina sono fra una coppia inglese ed una francese. Mi hanno visto che trafficavo con le taniche, ho fatto tre viaggi, andando ogni volta a terra con un simpatico giochino: filo catena col telecomando, avvicino la poppa, salto giù e richiamo la catena sempre col telecomando. Viceversa per risalire: si risparmia sulla passerella. Tornando dal tentativo fallito di fare la spesa, ho trovato la signora inglese che dava da mangiare ad un paio di cani randagi adottati dalla comunità dei naviganti. Abbiamo iniziato a chiacchierare, si è complimentata per il giochino del telecomando, poi le ho detto che avevo trovato tutti i supermarket chiusi ed avevo finito praticamente le provviste. Posso offrirle un po' di questo?, mi fa mostrandomi la ciotola con il Ciappi per i cani. Grazie, non si disturbi, replico sorridendo. Ovviamente scherzavo, aggiunge. Ma dai? Ed io che credevo dicesse sul serio! Ma che forti questi inglese che si incontrano in Egeo, sprizzano simpatia da tutti i pori.

Non è mancato neanche il momento adrenalinico oggi. Sul radar (l'AIS per i lettori velisti), ho iniziato a vedere una nave che puntava su di me a velocità folle, oltre 30 nodi.  A vista non era individuabile, ma lo strumento dava 20 minuti all'impatto; ho sperato che essendo la mia velocità inconstante il rilevamento cambiasse ma non cambiava. Dopo circa un quarto d'ora ho visto questo mostro, un enorme catamarano di quelli che trasportano passeggeri tra isole lontane (c'era il Fiumicino-Olbia anni fa, poi soppresso), dritto verso di me ed ho calcolato non più di tre minuti di distanza fra noi. Ho acceso il motore per essere più manovriero, ma in realtà ero molto indeciso sul da farsi. In teoria la precedenza era mia in quanto imbarcazione a vela, in pratica è come litigare con Mike Tyson, anche se hai ragione da vendere eviti lo scontro diretto, e comunque manovrare senza doverlo fare può essere pericoloso, potrebbe confondere le idee all'altro. Sono rimasto così per un paio di interminabili minuti fino a quando il mostro ha accostato qualche grado per passarmi di poppa. All's well, that ends well, come dicono gli inglesi. No, basta inglesi, almeno per oggi!
A cena, scarseggiando la cambusa, mi sono concesso una taverna. Lì ho conosciuto una simpatica coppia di Atene che poi  ho  invitato a bordo a bere una birra. Chiacchierando un'ulteriore conferma che l'Italia è per i greci un punto di riferimento importante, che hanno ammirazione per noi. Mi hanno riferito un detto che hanno loro: i greci vorrebbero somigliare agli italiani ma somigliano ai turchi. Poveri turchi! Ma poveri pure noi italiani che a volte vediamo solo chi ci considera pizza e mandolino e non capiamo il nostro vero valore. Comunque, l'ho già detto, lo ridico: a me i greci... me piaciono!




sabato 22 giugno 2013

Capo Sunio

 

La leggenda, o meglio il mito dato che siamo in Grecia, narra che da questo piccolo promontorio alto circa 70 metri si gettò Egeo, re di Atene, quando vide che la barca del figlio Teseo, che era andato a Creta a combattere il minotauro, tornava alzando vele nere anzichè bianche. Il segnale convenuto era che fossero nere in caso di sconfitta e bianche in caso di vittoria. Teseo se ne dimenticò, i maligni dicono che Teseo abbia intenzionalmente alzato le vele del colore sbagliato, ed Egeo si suicidò per il dolore della morte del figlio. Da allora il mare tutto intorno ha preso il suo nome. Sulla sommità del capo ci sono i resti di un antico tempio, un imponente colonnato che conferisce al luogo un aura di sacralità. Una piccola aura di vandalismo gliela conferiscono invece i graffiti dei soliti scemi, fra cui un certo Lord Byron passato da queste parti qualche anno fa e che ha scolpito il proprio nome su un basamento.
E' proprio qui, a Capo Sunio, che ho uno degli appuntamenti imprescindibili di questo viaggio: con un passaggio obbligato, difficile, ma anche con me stesso, perchè è un po' la prova dei fatti per la barca ed il suo equipaggio, al momento ridotto al sottoscritto. Il vento dominante di tutto il Mar Egeo in estate è il Meltemi, un vento che prende direzioni leggermente diverse a seconda delle zone ma che oscilla tra il nordovest ed il nordest e che soffia spessissimo con estrema violenza, tendendo per di più ad accellerare, come tutti i venti, in corrispondenza di capi, promontori e stretti, tutti punti dove la morfologia del territorio lo incanala in imbuti che paiono fatti apposta per illustrare una lezione di fisica sull'effetto Venturi. Per me che devo andare verso nord non è la situazione migliore, ma questa è e me la tengo.

Tecnicamente il Golfo di Saronico, lo specchio acqueo che si incontra all'uscita del Canale di Corinto, è già Mar Egeo, ma è ben ridossato a nord dalla costa Attica e perciò protetto dai venti settentrionali; è quindi doppiando Capo Sunio che si ha il primo, vero assaggio di Meltemi. Confidando che finchè me ne resto a ovest del capo non avrò problemi seri, mi preparo per salpare da Perdika, dove ho passato due bei giorni di relax, per dirigermi verso la baia immediatamente prima, dove ho appuntamento con Francesca e Giovanni che arriveranno da Atene con la loro barca. Al momento di andare, l'inglese del simpatico teatrino del giorno prima mi chiede se sto partendo e mi dice una frase di cui capisco solo "two euros. "Next time we meet", gli rispondo, ma uno così mi auguro di non incontrarlo più. Filo un po' di catena a prua prima di mollare le cime di poppa, in modo che la barca non parta a razzo in avanti per l'effetto elastico della catena, poi termino di recuperare l'ancora e torno a poppa per prendere in mano il timone e mettermi in rotta.

Si preannuncia una veleggiata tranquilla, con vento tra i 15 e i 20 nodi, una bolina molto larga con mare poco mosso; Piazza Grande si mette sui 6 nodi di velocità, il pilota automatico non fa una piega ed io calo la traina mentre sgranocchio gli ultimi, untuosi, taralli greci dal terribile retrogusto di sugna. La nuova vela di prua, nuova per modo di dire, più piccola e piatta, rende la navigazione con queste condizioni molto più soft. Devo fare meno di 20 miglia, un paio già l'ho fatte, conto di arrivare per l'ora di pranzo: àncora, bagno, birra e patatine, olè!
Bello, eh? Però non è andata così.

Mentre Eolo inizia a soffiare qualche nodo in più, attestandosi sui 25 e formando un po' di onda, mi arriva un sms di Francesca: siamo arrivati, vento molto forte da nord. Ragiono un attimo, se qui sono 25 nodi, lì saranno almeno 30, decido quindi di orzare qualche grado in modo di poter poggiare se il mare dovesse montare e anche per ridossarmi il prima possibile con la costa, passando fra questa e un'isoletta, poco più che uno scoglio, che sta due miglia prima di Capo Sunio; con molta attenzione dato che la carta segnala un paio di secche cui prudenza vuole si stia lontani, inizio a girare intorno all'isola, orzando il più possibile, e mi accorgo che il passaggio che intendevo fare è ostruito da alcuni allevamenti di pesce. Magari un buco per passare c'è, ma c'è pure un metro d'onda ormai e le raffiche, che superano spesso i 30 nodi. Insomma, mi sembrerebbe una schettinata, do una poggiata decisa per scapolare l'isola da sud, pronto eventualmente a fare un bordo se non riuscissi poi a stringere a sufficienza. Passo molto vicino, la costa è a picco, non ci sono rischi di incaglio e sono sottovento. Però l'isola mi copre, è conica ed il vento gli gira attorno con salti e calme improvvise, ma soprattutto con raffiche che arrivano violente e spesso senza alcun preavviso. Una di queste fa straorzare la barca che si ingavona fino a mettere la falchetta ed il boma in acqua. Niente paura, anni di deriva mi hanno insegnato che basta filare le scotte e dare una poggiata decisa per raddrizzarla, ovviamente dopo aver disinserito il pilota automatico. Il problema è che da solo il tempo di fare tutte queste cose non è istantaneo come in equipaggio. Vabbè, non è successo niente, mi metto però al timone con la scotta della randa in mano, non si sa mai dovesse ricapitare.

Le ultime due miglia il vento aumenta ancora, quando sono a poche centinaia di metri dalla rada l'anemometro non scende mai sotto i 30 nodi, sfiorando spesso i 40. Una grossa nave cargo è alla fonda lì davanti, probabilmente in attesa che il vento cali. Avvisto la barca di Francesca e Giovanni, mi ancoro a distanza di sicurezza  filando tutta la catena che ho a bordo, circa 65 metri, sperando che il fondo sia buon tenitore. Per dare un'idea a chi non sa quanto vento siano 40 nodi, consideriamo che quando in città diciamo ammazza (o minchia o diobbono o ostregheta) quanto vento c'è oggi, si sta sui 15/20 nodi; quando in spiaggia diciamo: non si può stare per il vento, ce ne sono una 30ina. Insomma, 40 nodi sono tanti, il vento fischia fra le sartie, tutta l'attrezzatura vibra e la barca con essa. Ogni azione deve essere ragionata preventivamente, un errore può portare a situazioni difficili poi da gestire, soprattutto navigando in solitaria. Anche una cosa semplice come dare ancora in rada, con vento così forte va fatta senza esitazione, pena l'abbattimento della prua ed il rischio di calarla molto distante da dove si era deciso.

Il resto della giornata lo trascorro a riassettare un po' la barca, a scattare foto e a guardare l'anemometro che non accenna a scendere. Faccio pure una visita ai miei amici, a nuoto dato che mettere in acqua il tender è impossibile, volerebbe via in un attimo. Poi la sera, dopo aver controllato una dozzina di volte che la linea d'ancoraggio sia a posto, me ne vado a nanna, con la luna piena che splende alle spalle del tempio di Poseidone, illuminato come fosse un faro sul promontorio messo lì ad indicare la via ai naviganti.

Il vento non molla un attimo, tutta la notte e anche la mattina seguente, le raffiche spruzzano l'acqua che incrosta tutta la barca di sale, solo verso le 4 o 5 del pomeriggio inizia debolmente a cedere per poi morire del tutto nel giro di un paio d'ore. E' incredibile la rapidità con cui anche il mare si spiana, dall'onda formata nel fetch di poche decine di metri fra la spiaggia e me, alla calma piatta, stagnante della sera. Tutto lo scenario è cambiato, il rumore del vento ha lasciato spazio al vociare proveniente dalle barche che hanno ora affollato la rada, a qualche clackson della strada che corre lungo la costa e alla discoteca dell'albergo che sta proprio sotto il tempio. E' bastato poco per rompere l'incantesimo, per togliere la il fascino, o forse la semplice illusione che questo fosse un posto diverso, magico, magicamente conservatosi intatto, e non uno dei tanti luoghi dove i turisti si affollano per vivere la vacanza in un modo che non contesto ma che personalmente mi da l'orticaria. Ma la Grecia è grande, c'è ancora posto per tutti, anche per quelli che come me si emozionano più al pensiero di Egeo che vola giù dalla rupe che non dimenandosi al ritmo di YMCA dei Village People sparati a tutto volume.

Stamattina di nuovo un po' di vento, ma niente a che vedere con i due giorni passati. Capo Sunio mi aspetta, oltre le sue rocce sul mare, oltre lo spirito di Egeo che con il suo gesto ha segnato per sempre il passaggio di chi naviga in queste acque.






giovedì 20 giugno 2013

Sosta a Perdika



La cosa bella dell'andare a vela, una delle tante, è che i programmi si cambiano con la stessa rapidità con cui vengono fatti. Vuoi per un meteo avverso, vuoi, più piacevolmente, perché una rada o un porticciolo inaspettatamente gradevoli invogliano ad una sosta più lunga del previsto. E' quello che è successo a me qui a Perdika, dove a dire il vero non pensavo nemmeno di fermarmi a causa di quell'allergia acuta ai porti ed ai loro esorbitanti costi che ho sviluppato in Italia. Ma qui siamo in Grecia, i porti non si pagano o si pagano l'equivalente di un gelato da passeggio, si entra, si cerca un posto che il più delle volte c'è, si da àncora, come in tempi remoti anche da noi, e si accosta la poppa in banchina. Facile, no?

Perdika è un piccolo porto dell'isola di Egina, nel Golfo di Saronico, davanti ad Atene, un ormeggio secondario quindi, come può essere Porto Azzurro all'Elba. Ora, provate ad entrare a Porto Azzurro (faccio per dire, in Italia è ovunque così) e poi ditemi se le cose vi andranno allo stesso modo che qua. Appena messa la prua oltre il molo foraneo, noterete che il bacino portuale è asfaltato di pontili, in concessione oppure abusivi, tutti pieni di barche ammuffite che non prendono il mare da anni; da qualche parte ce ne sarà uno completamente vuoto, ma appena proverete ad avvicinarvi un solerte guardiano, con la cortesia di un rottweiler affamato, vi dirà di andare via perché è privato. Allora comincerete a chiedere in giro e vi risponderanno che non c'è posto secondo la seguente logica: fino alle 16.00, se state sotto i 16 metri fuori tutto, fino alle 18.00 se state sotto i 14, fino alle 20.00 se state sotto i 12. Solo più tardi si intravederà uno spiraglio anche per chi sta intorno ai 10 metri. La ragione? Si intuisce facilmente, si cerca prima la preda più grande, più prestigiosa, quella con più ciccia da spolpare, poi, in mancanza d'altro, si spara alle quaglie. L'esborso sarà sui 100/150 euro al giorno, senza corrente elettrica, acqua o servizi di alcun genere. Il tutto in barba alla circolare Burlando di una 20ina d'anni fa che obbligava i gestori dei porti pubblici a destinare il 10% dei posti ai transiti gratuiti. Beh, se qualcuno si chiedeva perché venire in Grecia, direi che già questa da sola è una ragione ottima e sufficiente.

Il paesino ha una fila di taverne che corre lungo il molo, molto carine e coreografiche, tutte illuminate a sera. Il resto dell'abitato è abbastanza anonimo e architettonicamente eterogeneo, non è un ricamo di casette antiche intrecciate fra loro, pochi gli angoli pittoreschi, molti in compenso i tetti in amianto. Ha però un'atmosfera molto serena e rilassata, come mi pare siano in genere i Greci, decisamente più "scialli" di noi. Stamattina ho fatto due passi, non c'è in effetti nulla da vedere oltre al porto, ma qui in banchina si sta decisamente bene (a parte qualche schiamazzo diurno dalle barche vicine).


 Poco fa ho assistito ad una scena disgustosa: una barca con un'anziana coppia inglese a bordo ha iniziato a manovrare per ormeggiarsi di fianco a me. Subito, in banchina, un tizio un po' malmesso si è affrettato a prendere le cime per aiutare la manovra. Succede spesso da queste parti, ma anche in Turchia è frequente, che qualche poveretto si guadagni  una piccola mancia in questo modo. Finita la manovra l'inglese ringrazia, il greco resta lì davanti in attesa dell'obolo che non si vede, poi dopo qualche minuto chiede 2 euro. L'inglese inizia a tergiveresare, domanda da quando si paghi per l'attracco in questo porto, lancia battute e irride il tale cercando di tanto in tanto il mio sguardo complice. Gli dico un paio di volte che è un poveretto e che sta chiedendo solo due euro, provando ad anglicizzare al meglio la filosofia napoletana del tutt' quant' amm a campa'.
Dopo circa 10 minuti di questo ignobile spettacolo, con il tizio piantato davanti alla sua poppa, l'inglese decide di pagare, ma non arriva con la mano alla banchina e pretende che l'altro si sporga fino a lui (cosa impossibile). Mi guarda ridendo e mi fa: gli sto chiedendo la ricevuta. Nel frattempo il greco si è rivoltato le tasche dei pantaloni per mostrare che effettivamente non ha resto. Basta, è troppo! Gli dico di dargli i 5 euro e che il resto glielo darò io. Ma non ho 3 euro spicci, ne prendo 5, scendo a terra passando volutamente sulla barca dell'inglese e li do al tizio dicendo che pago due quote, la mia e quella del vicino. Se li prende, mi sorride ringraziandomi e se ne va. L'inglese capisce, credo, spero, che ha fatto una figura di merda e prova ad imbastire un discorso che suona più o meno: se ne approfittano perché io ho la badiera inglese, tu belga... Mi ha scambiato per un belga! La bandiera mi ha salvato, capace che avessi avuto quella italiana mi avrebbe anche fatto un pistolotto sulle devastazioni antropologiche provocate dal buonismo nostrano. Che miseria umana, questi qui se lo meritano Porto Azzurro!

Se a destra i vicini sono questi, a sinistra le cose non vanno meglio. A bordo di una bella barca primi anni '80, sui 45 piedi, battente bandiera tedesca, un uomo di mezza età, solo, che ieri quando sono arrivato ha preso controvoglia le mie cime, senza nemmeno scendere in banchina, malgrado la mia richiesta con un cenno di mano; mi hanno aiutato poi due nordeuropei, ormeggiati due posti più in là, che hanno offerto spontaneamente la loro collaborazione come si usa di solito. Il tedesco, ma non sono sicuro che lo sia, ha detto non più di due parole, difficile interpretarne l'accento, è da ieri che lavora e medita sui lavori che fa. In reltà medita più che lavorare, ma non per questo ho battuto ciglio quando ieri sera verso le 10 s'è messo a trapanare. 
Oggi l'ho sentito che sfrullinava, ho avuto il sentore che stesse lavorando il metallo e sono uscito fuori. Per quelli che non lo sanno, la polvere di metallo sulle barche di vetroresina, come Piazza Grande ma anche quella del crucco, è come la peste bubbonica, si infila nei micropori della fibra di vetro e rapidamente produce migliaia di piccolissimi puntini di ruggine difficilmente eliminabili. Gli domando retoricamente cosa stia lavorando, se legno o metallo, quando mi dice il secondo, gli faccio presente il pericolo. Mi risponde che quello è il miglior acciaio inox sul mercato e che non produce un filo di ruggine. Ribatto che il metallo che non fa ruggine al taglio è ancora di là dall'essere inventato e lui replica sprezzante: siamo in un porto, non in un marina! Hai capito, mi ha dato del fichetto, proprio a me che vado per mare nel modo meno modaiolo possibile, fosse altro perché è l'unico che posso permettermi! Gli dico un'altra mezza frase, cercando di mantenermi cortese, non ho nessuna voglia di litigare e poi mi immagino già l'anziana coppia inglese fare il tifo per il tedesco nell'eventualità della zuffa. Pare aver capito, le sfrullinate terminano, o forse aspetta che mi allontani per piazzare la smerigliatrice due centimetri sopravvento alla mia falchetta, chissà

In mezzo a tutto questo tran tran, sono riuscito finalmente a montare il tendalino fatto fare di corsa prima di partire, con tessuto di grandi magazzini (4 euro/mt contro i 23 di quello nautico) e cucito da un sarto indiano di una lavanderia vicino casa. Circa 100 euro in tutto; considerando che un bimini serio ne costa anche 2000 e fa ombra per un terzo, direi che non è male. Certo, a differenza del bimini va montato e smontato ogni volta, ma l'ho pensato in modo che l'operazione possa svolgersi con la massima rapidità. E poi, diciamolo, molte volte i bimini non sono un gran bello spettacolo, sgraziati rispetto alle dimensioni della barca, ne stravolgono completamente le linee estetiche. Alla via così col mio tendalino autarchico, sotto ci si sta divinamente, oggi c'è scappata pure la pennichella dopo pranzo, roba che non la facevo dalla prima elementare.

Stamattina mi sono concesso una colazione al bar, caffè e cornetto. Chiedendo un'espresso ristretto in genere si ottiene una tazzina bevibile, il problema sono i cornetti, qui non si usano, l'altro giorno in un bar mi hanno consigliato di prenderlo al negozio del pane. Il bar di stamattina ce l'aveva, anzi non ce l'aveva, ma mi ha detto di avercelo quando ho chiesto un croissant, poi è sparito nel retrobottega e ne è riuscito poco dopo con un cornetto al cioccolato  appena scongelato al microonde: una delizia, impasto freddo e cioccolata alla temperatura di fusione dei metalli nobili. 4,5 euro, un'enormità, soprattutto se raffrontata alla birra media di ieri sera, nello stesso posto, servita al tavolo con una ciotola di patatine, per 3 euro. Morale, in Grecia meglio bere birra che caffè, le birre greche, Mythos, Pils, sono anche buone.

Ho approfittato di questa sosta a Perdika anche per altre due operazione importanti: ho rabboccato l'olio al motore e ho tolto il genova dal rollafiocco sostituendolo con il fiocco olimpico. Nella prospettiva di due mesi di Meltemi, dovrei avere un guadagno notevole in termini di governabilità e angolo al vento; è meglio una vela piccola che una grande rollata in questi casi, non credo proprio che avrò bisogno di molta tela a riva e poi, alle brutte, c'è sempre il gennaker nel gavone. Ma qualcosa mi dice che là resterà fino al rientro nel Tirreno o almeno nello Ionio. Intanto godiamoci il ventoso Egeo.

Nel frattempo il porto si è riempito di barche, molti charter, qualcuno urla, altri danno motore per ricaricare le batterie, è molto diversa l'atmosfera rispetto a ieri, ma si sa, la bellezza di un posto, il fatto che ci entri nel cuore, spesso è legata a ragioni contingenti oltre che oggettive. Domattina si salpa per Capo Sounion, o meglio, per la rada immediatamente prima, dove ho appuntamento con Francesca e Giovanni. Insieme aspetteremo il momento buono per doppiarlo, cercando di evitare le sberle sul naso che spesso riserva ai naviganti. Perdika la ricorderò, un pezzettino di mondo che mi ha dato qualcosa e che forse, a modo mio, ho ricambiato, magari anche con queste poche righe.



PS L'inglese non mi ha ancora restituito i 2 euro come promesso; il crucco, in compenso, se n'è andato a sfrullinare in banchina.

mercoledì 19 giugno 2013

Perdika



Sono capitato per caso a Perdika, lato sud di Egina. Volevo fermarmi in rada, ma c'era mare, sono entrato in questo piccolo porticciolo trovando un incanto che non mi aspettavo. Poche barche, banchina mezza vuota, una schiera di taverne illuminate a fare da cornice notturna.
Per andare a terra, dato che non avevo voglia di tirare fuori la passerella dagli sprofondi del gavone dove si trova, ho filato la catena, cazzato le cime di poppa, sono saltato a terra e ho recuperato catena col telecomando. Il contrario per risalire. Fichissimo!
Domani vado verso Capo Sunio, ho appuntamento con Francesca e Giovanni che nel frattempo sono andati ad Atene a trovare alcuni amici. Come dice il proverbio? Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Beh, io di fare il duro non ho nessuna voglia, ma mi sa che mi tocca farlo per forza. Capo Sunio è uno dei passaggi più tosti di tutto il viaggio;  imprescindibile, è sulla rotta, non si può evitare. Sono pronto a prendere randellate, speriamo non facciano troppo male!

Indovina chi viene a cena...



domenica 16 giugno 2013

Bilancio di due settimane di navigazione

Sembra incredibile, ma da che sono partito, due settimane fa, è la prima volta che mi trovo da solo in un momento di relax e con la possibilità di buttare giù due righe di riflessione e di bilancio di questa prima parte della navigazione.
Finora sono stato molto indaffarato a mettere a punto Piazza Grande, cosa che non sono riuscito a fare prima di partire e poi ad inseguire, si fa per dire perchè ora sono più avanti io!, Francesca e Giovanni che hanno una barca molto più veloce della mia. E' la prima volta che navigo di conserva con qualcuno per così tanto tempo e credo continueremo ancora per un po', probabilmente fino alle Sporadi settentrionali, poi loro andranno ancora più a nord, verso la Calcidica, mentre io proverò ad affrontare i Dardanelli ed il Mar di Marmara fino ad Istanbul. E' piacevole navigare con loro, sono molto carini con me, quando siamo in navigazione mi chiamano via radio per sapere come sto, rallentano per aspettarmi, a volte mi invitano a cena e spesso discutiamo insieme la rotta, che è un modo di confrontarsi e di evitare scelte sbagliate. Sono al loro terzo lungo viaggio in Grecia, vivere di rimando la loro esperienza mi è molto utile. E poi sono anche tutti e due simpatici, il che non guasta!


Stamattina è sbarcato Thomas che ha fatto con me da Messina a Patrasso, compresa la traversata dello Ionio, andata piuttosto allegrotta in circa 38 ore. Non era molto convinto di scendere, nè molto attratto dalla prospettiva di riprendere un ritmo ed uno stile di vita che, come lui stesso mi ha ben spiegato, gli stanno piuttosto stretti. Appena è sceso mi sono messo in rotta e dopo circa un'ora sono passato, previo avviso via radio all'autorità che lo gestisce, sotto il ponte che unisce il Peloponneso con il resto della Grecia. Fa un po' impressione, si ha il timore, certo infondato, che l'albero rischi di non passarci. Ma credo sia molto più alto di quello che sembra. Piuttosto che entrare in porto e passare un'altra notte fra la musica a tutto volume dei bar sulla banchina, mi sono messo alla fonda in una rada deserta a pochissime miglia da Corinto, domani mattina scenderò a terra per un po' di giretti vari, lavanderia e acquisto di carta sim greca, poi via verso l'Egeo attraverso il canale.



Nei prossimi giorni navigherò di nuovo da solo, cosa che decisamente mi piace, pur non disdegnando affatto la compagnia quando c'è. Sono due modi diversi di andare per mare, da solo ho un rapporto più profondo col mare, con la barca e anche con me stesso. Non mi capita mai di annoiarmi, di cose da fare ce ne sono tantissime, dalla gestione della navigazione, dalla traina alla lettura o al semplice godimento del momento. In compagnia, invece, si apprezzano le lunghe chiacchierate e la divisione dei lavori da fare a bordo e anche una birra al bar quando si scende a terra.

Sono perfettamente in linea con la tempistica prevista, avevo calcolato spannometricamene una settimana fino a Messina, una fino a Corinto, una per risalire l'Egeo ed una per i Dardanelli ed il Mar di Marmara. Purtroppo sono partito con parecchio ritardo a causa degli strascichi di inverno che quest'anno maggio ci ha regalato e quindi entro in Egeo quando ormai la stagione del Meltemi è alle porte. Se si mette subito a soffiare forte c'è l'eventualità che non riesca a risalire verso nord e debba quindi rinunciare ad Istanbul. Se da un lato mi dispiace, ci tengo parecchio a tornare in questa bellissima città (fosse solo per ricomprare i Levi's 501 perfettamente imitati a 14 euro presi 3 anni fa ed ormai consumati), dall'altro le tante isole e isolette che ci sono da queste parti offrono un ventaglio di alternative sconfinato e meraviglioso.


Il bilancio di queste prime due settimane è positivo, nessun intoppo serio, tutto è filato liscio. Tuttavia, complice anche il ritmo serrato delle giornate, sento che stasera, in questo incantevole scenario, sto veramente staccando la spina per la prima volta. Forse anche perchè non ho connessione Wifi e quindi Facebook a propormi le consuete interazioni telematiche con gli amici sparsi per il mondo. Qui mi rapporto esclusivamente con la natura, il mare, il vento e, di tanto in tanto, con qualche tonno che non troppo volentieri si lascia invitare a cena e finisce inevitabilmente a carpaccio (solo oggi due, entrambi sui 2 kg). Per il resto, l'ultimo frinire delle cicale dietro la scogliera, il sole che cala verso l'orizzonte, il faro che manda i suoi primi bagliori ai naviganti (quei pochi non ancora dotati di gps), qualche gabbiano che... boh, come fanno i gabbiani?, starnazza ed il dolce cullare della leggerissima onda sotto la barca.


E' un momento magico, di quelli che restano impressi, di quelli che segnano la mente ed il cuore. Proprio ora sta passando un'altra barca, la vedo in controluce, un'ombra scura davanti al sole. Ma tira dritto, se ne va forse a cercare il suo spicchio di pace in questo mare rasserena e dona tranquillità interiore.